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Ecco la Luce che riscalda qualsiasi vita

Maria Vittoria Cascino

«Chi ama le situazioni ambigue e il pensiero debole (rifugio delle menti deboli) non amerà questo libro. Chi invece crede che la verità esista e sia dato alla mente e al cuore umano di conoscerla potrà forse trovarvi qualche risposta». Nella quarta di copertina del romanzo di Emilio Biagini «La Luce», Edizioni Ecig, 220 pagine, 12 euro. Resti perplessa. Pensi alla favola del «re nudo». La certezza che nessuno alzerà la mano per dire «ma..» Che nessuno dirà di optare per «situazioni ambigue» e «pensiero debole». Quindi. Poi pensi alla provocazione. Fortissima. Il libro va letto che magari scopri d'essere di quella razza e tanto ci sei incancrenita che neanche te ne accorgi. Altro punto di vista. Ti metti sulle tracce di Paolo Donati, il protagonista di una storia i cui riferimenti geografici sono praticamente nulli. Forse perché le parole non restino appiccate ai luoghi ma diventino potenti per il messaggio che veicolano. Anni '50, seconda liceo classico. Paolo e i suoi compagni. Un campionario di buona borghesia declinata nelle sue tipologie. Paolo, sensibile, non bello, sta a galla tra la mediocrità d'una madre avara al limite e un padre succube. Ha il suo mondo fatto di libri acquistati di nascosto e di viaggi della mente. Che spendere per il superfluo si finisce a «pan dimandato». L'amore adolescente di Paolo è Claudia, l'attraente e algida compagna che fila con il bello e ricco. Appuntamenti mancati e delusioni. Fino a Lucia, la nuova vicina di casa. Una fanciulla costretta dalla poliomielite tra le mura domestiche. La famiglia è molto ricca, il padre un alto dirigente del Partito Comunista. Paolo e Lucia sono vicini, ma lei non ha il conforto della religione cattolica. Paolo si confessa tutte le settimane. Lucia si suicida. Qui il punto di rottura. Il fratello di lei, Alberto, soffoca nell'assenza di fede. Ha bisogno di scavare in quel terreno che il padre gli aveva spacciato minato. Paolo macina, pensa alla vita oltre la vita. Pensa e viaggia estraneo ad una società che lo stringe nei suoi ruoli senza convertirlo. Poi la vacanza dalla zia ricca sulla riviera romagnola. L'equivoco che lo indica erroneamente molestatore di bambine. L'equivoco che Paolo, studente di medicina, non riesce a chiarire. Scappa. Torna a casa. L'equivoco lo segue. Anche il professore con cui deve fare l'esame di anatomia ne è a conoscenza. Lo umilierà e boccerà. Paolo scappa ancora. Fino all'incidente che scriverà la soluzione finale. Fino ad una serenità che diventa impazienza di rivedere Lucia nell'altra vita.
La trama pesca da una letteratura e filmografia sedimentati, ma la scrittura limpida e l'approccio narrativo tracciano un solco preciso. Biagini non lo perde di vista mai. Ci arriva per cerchi concentrici fino a stringere sul protagonista, sulle variazioni dell'animo di Paolo. È lui il tester, lo specchio su cui leggere le debolezze del moderno e l'incertezza del post. Lui spettatore d'una scena cui non entra per mancanza di requisiti in solido. Lui che vive in una sorta di spelonca. Lui costretto a fare i conti con l'essere, che all'apparire ci pensano gli altri. Poi gli incontri che danno un senso all'ombra. La luce entra senza ferire gli occhi e scopre quant'è fragile la certezza dell'oggi. Lentamente. Attraverso il dolore. In discesa libera. Niente mani sugli occhi. La luce ha chiarito tutto e la vita altra non fa più paura. Il coraggio dell'evangelizzazione.

Il coraggio di prendere il lettore per il bavero e dargli una bella scrollata. Il coraggio di provocarlo dialetticamente mentre la penna ritaglia personaggi che inquietano. La trama è un pretesto, perché è l'affondo-proiezione che sa di sale.

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