Politica

Ecco il piano dei pm per inventarsi Silvio mafioso

nostro inviato a Palermo

Non ce l’hanno fatta a buttarlo giù in quindici anni di inchieste e di processi. A dar retta ai sondaggi, con il gossip barese hanno addirittura ottenuto l’effetto contrario. Non contenti, a Napoli stanno insistendo su Noemi cercando ragazzine disposte a confermare il rapporto del premier con l’allora «minorenne» di Casoria. Non sanno più che fare, cosa inventarsi, che pesci prendere. Ecco perché gli iscritti al partito dei militanti in toga confidano sull’offensiva di più procure finalizzata a «indagare» Silvio Berlusconi nelle inchieste sulle bombe del ’92-’93 nonostante l’archiviazione nel procedimento sui «mandanti esterni» archiviato nel maggio 2002 a Caltanissetta. La nuova offensiva è collegata a quanto sta via via emergendo in Sicilia su cinque differenti filoni, riuniti all’occorrenza per far tornare conti che in un Paese normale non potrebbero mai tornare. Il primo riguarda le novità sulla bomba di via D’Amelio, emerse grazie a un nuovo pentito, il boss Gaspare Spatuzza, collegato ai Graviano a loro volta vicini - azzarda la procura rispolverando dichiarazioni di vecchi pentiti - al senatore Marcello Dell’Utri; il secondo concerne le rivelazioni di Massimo Ciancimino, figlio del sindaco-mafioso di Palermo, diventato loquace con la procura dopo la condanna per riciclaggio, rivelazioni concernenti gli improbabili contatti diretti Provenzano-Berlusconi e la trattativa fra Stato e Antistato condotta dal padre-sindaco; il terzo si rifà invece all’accelerazione del dibattimento d’appello nei confronti del senatore Marcello Dell’Utri; il quarto verte sulla mancata cattura del capomafia Bernardo Provenzano che vede attualmente imputato il generale Mario Mori. Quinto e ultimo capitolo, il riaffiorare della presenza di pezzi ovviamente «deviati» dello Stato che avrebbero avuto un ruolo nelle stragi, nelle trattative segrete con Riina, nella latitanza assicurata a Provenzano. Partiamo dalla fine.

DAI TELEFONI DI CONTRADA

AGLI AGENTI «SFREGIATI»

Per arrivare a ipotizzare e dimostrare un «terzo livello» politico e/o istituzionale, i pm giocano la carta, sino ad ora processualmente perdente, degli 007 collusi con Cosa Nostra. Sulla falsariga di quanto già sperimentato con l’ex numero tre del Sisde, Bruno Contrada, che si provò invano a coinvolgere nell’attentato di via D’Amelio, adesso hanno riaperto le indagini sulle stragi Falcone e Borsellino partendo proprio da una rielaborazione dei tabulati telefonici su Contrada e da ulteriori presenze di spie collegate a misteriosi mandanti istituzionali interessati a fare tabula rasa del vecchio sistema politico per spianare la strada al «nuovo» che di lì a poco avrebbe preso il potere. Per i pm il «nuovo» era rappresentato da Silvio Berlusconi, che però nessuno, nemmeno l’interessato, all’epoca delle bombe pensava potesse scendere in politica e diventare presidente del Consiglio due anni dopo. Per anni le procure siciliane hanno sbandierato certezze e cavalcato teoremi sul ruolo dei Servizi, salvo poi arrendersi di fronte alla totale assenza di riscontri. Adesso ci riprovano, collegando il presunto attivismo di introvabili 007 dai nomi in codice e dai volti lombrosiani alla nascita di Forza Italia nel 1994. Scrive Repubblica, riportando il pensiero dei pm palermitani, il 17 luglio scorso: «C’è qualcosa di molto più contorto e di oscuro, ci sono ricorrenti “presenze”, indagine dopo indagine, di agenti segreti sempre a contatto con i boss palermitani. Tutti a scambiarsi di volta in volta informazioni e favori, tutti insieme sui luoghi di una strage o di un omicidio». Uno di questi sarebbe un agente segreto con la «faccia da mostro», il cui nome ad oggi è purtroppo sconosciuto. Stando al pm-pensiero lo spione avrebbe un viso orribile, deformato, e nonostante la malformazione evidente nessuno l’ha mai identificato. «Chi è?», si chiede Repubblica. Boh. «Gli stanno dando la caccia…».

LA CACCIA AL «MOSTRO»

PER PUNTARE AL PREMIER

Nessuno lo conosce anche perché nessuno sembra aver mai chiesto informazioni al titolare del Sisde di Palermo nell’anno delle stragi, un ufficiale che potrebbe tornare utile alle indagini, ad esempio, non più sulla misteriosa «cabina di regia» dei servizi segreti al castello Utveggio bensì dall’Hotel Villa Igea da cui - ipotizzano i pm - potrebbe essere partito il via libera alla strage-Borsellino: l’ex capocentro Andrea Ruggeri, uno che «conosce molto bene l’ex procuratore capo Giancarlo Caselli – ha verbalizzato Contrada ai pm di Caltanissetta - fin da quando era il numero due del Sisde a Torino». Il mistero dell’uomo sfigurato che dovrebbe portare ai superiori gerarchici, e quindi all’entourage di Berlusconi, in realtà è un mistero per modo dire. Il nome dell’agente con l’angioma sul viso spunta infatti nella seconda richiesta d’archiviazione nei confronti dei mafiosi Madonia e Scotto accusati dell’omicidio di un poliziotto, Antonino Agostino: se è introvabile è solo perché è morto. Di un altro spione con la «faccia da mostro», utile alle indagini su Berlusconi, avrebbe parlato anche il confidente Luigi Ilardo (poi ucciso dalla mafia perché avrebbe collaborato col colonnello dei carabinieri Michele Riccio alla cattura di Provenzano) con riferimento a un insospettabile funzionario regionale vicino all’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino.

DEPISTAGGI INDIMOSTRABILI

E I «SOLITI» SOSPETTI

Potrebbe trattarsi, però, di una persona diversa rispetto a quell’agente «Franco», oppure «Carlo», di cui parla anche il figlio di Ciancimino nei suoi interrogatori sulla trattativa Stato-Mafia che chiamano in causa Silvio Berlusconi. Ma anche di questo «Carlo» - che fino a pochi giorni fa avrebbe depistato e inquinato le prove - ohibò, si sono perse le tracce poiché la «Sim» della scheda telefonica con il suo nome, custodita in qualche cassetto della corte d’appello, non si troverebbe più. Surreale poi che attraverso le dichiarazioni del defunto mafioso Luigi Ilardo - che al pari di don Vito Ciancimino non può confermare né smentire le dichiarazioni a lui attribuite - i pm puntano a incastrare Berlusconi attraverso un altro ex pezzo da novanta dei Servizi, il generale coi baffi, Mario Mori, considerato chissà perché un cane da riporto di Silvio Berlusconi. Dopo esser stato imputato e poi assolto per la mancata perquisizione al covo di Totò Riina, Mori è finito sotto processo per la mancata cattura di Bernardo Provenzano.

IL GENERALE COI BAFFI

E LE BUGIE SULLA FININVEST

Al generale le procure addebitano ingiustamente varie nefandezze, come il mai dimostrato scambio di cortesie con Provenzano (ovviamente legato a Berlusconi, sic!) a cui avrebbe garantito la latitanza in cambio della cattura di Totò Riina. O come la trattativa con la mafia per il tramite di quel Vito Ciancimino che sollecitava – secondo quanto racconta il figlio – di poter avere l’ok a trattare con lo Stato direttamente da Luciano Violante e Nicola Mancino. Per incastrare Mori, e dunque il premier, in queste ore son tornati a rispolverare persino i rapporti professionali del fratello del generale, Alberto, con il gruppo Fininvest. Rapporti che oltre ad essere cessati nel 1991 (ben prima della stragi) nulla hanno a che vedere con le conclusioni stilate in un’informativa della Dia laddove si affermava falsamente che il fratello del colonnello Mori si chiamava Giorgio (anziché Alberto) e che erano documentati i suoi interessi in una società di due imprenditori coinvolti in fatti di mafia. Incuranti della cantonata presa, i giudici ammisero comunque che «il legame parentale di costui (Giorgio, ndr) con il generale Mori, uno dei protagonisti della trattativa con Ciancimino all’epoca delle stragi», non era comunque «sufficiente a prefigurare che l’alto ufficiale dell’Arma potesse aver avuto contatti con Berlusconi o Dell’Utri e che potesse essere stato “ambasciatore” di costoro nel rapportarsi con uomini di Cosa nostra». Le evidenze d’indagine, come i decreti d’archiviazione, parlavano e parlano chiaro. Quando si tratta del premier, però, più di qualcuno non ci sente.

(1. Continua)

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