È un'alleanza non scritta, ma vale comunque perché fondata su un punto di assoluta sintonia: Donald Trump e le sue politiche protezionistiche sono un pericolo. Lo ribadisce Christine Lagarde, numero uno del Fondo monetario internazionale, mai tenera con chi si pone in aperto contrasto coi principi del globalismo; lo afferma Berlino, che proprio nei rigurgiti trumpiani di stampo vetero-mercantilista vede crescere i germi per una possibile recessione in Germania.
Benché al momento sia una disputa irrisolta con la sola Cina, l'inroduzione dei dazi da parte della Casa Bianca è la variabile che ha peggiorato il quadro congiunturale mondiale, su cui «si addensano più nubi» rispetto a quante ce ne fossero lo scorso ottobre, ha avvisato la Lagarde. Che mette subito a fuoco il nemico da combattere: «Bisogna stare alla larga dal protezionismo, incoraggiando uno smantellamento delle barriere commerciali e non commerciali, anche nei servizi». Questa è la prima priorità, le altre sono prestare «attenzione ai rischi finanziari e di bilancio», e alimentare un modello di crescita «che porti benefici a tutti». Naturalmente, la ricetta del Fmi per «aggiustare il tetto finché c'è il sole» è la solita, quella di sempre: fare le riforme. La Grecia ne sa qualcosa, con i noti risultati in termini di impoverimento complessivo del Paese. Ma il Fondo, «resta impegnato a supportare» il Paese mediterraneo il cui popolo «ha attraversato otto anni difficili di adozione di politiche economiche severe». In cambio delle quali ha ricevuto aiuti miliardari, poi subito svaniti per onorare gli impegni finanziari. Ora la Lagarde rinnega quelle misure, «non necessariamente prese su consiglio del Fondo, che non ha chiesto ulteriori misure di austerità».
Di sicuro, la Germania e il suo ex ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble non hanno provato ad addolcire la pillola ad Atene. Un po' quello che sta facendo Trump con Berlino, accusata di barare con l'export e di sfruttare i Paesi amici. Così, i venti di protezionismo che soffiano dal 1660 di Pennsylvania Avenue arrivano gelidi sopra l'indice Imk, quello che funziona come un semaforo (ora è passato dal verde al giallo) e usa la produzione industriale per segnalare i rischi di recessione nei prossimi tre mesi. Aumentati in modo esponenziale in poche settimane: in marzo erano solo del 6,8%, adesso le possibilità di una contrazione dell'economia sono balzate al 32,4%. Colpa dell'inquilino della Casa Bianca e delle incertezze che ha seminato sull'economia e sui mercati finanziari.
Insomma: una spia d'allarme si è accesa, e la Bce non potrà non tenerne conto.
Uno scivolamento della Germania in recessione coinvolgerebbe l'intera eurozona, costringendo Mario Draghi a rivedere l'exit strategy dal piano di acquisti. E anche il rialzo dei tassi subirebbe uno slittamento ben oltre la prima metà del 2019.
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