Anche l'aceto balsamico di Modena passa agli stranieri e diventa British

Clessidra cede l'80% di Acetum agli inglesi per 300 milioni

Anche l'aceto balsamico di Modena passa agli stranieri e diventa British

Non finirà di certo sulle fish&chips, ma l'aceto balsamico di Modena da ieri parla inglese. Acetum, leader mondiale nella produzione del famoso condimento emiliano, finisce infatti sotto l'ala della Associated British Food, un colosso con 13,4 miliardi di sterline di giro d'affari, 130.000 dipendenti sparsi in 50 Paesi diversi, noto in Italia per il tè Twinings. A passare la mano è stato Clessidra, che due anni fa aveva acquisito una quota pari all'80% del capitale, mentre il residuo 20% era rimasto nelle mani dei due soci fondatori, Cesare Mazzetti e Marco Bombarda, destinati a mantenere le cariche, rispettivamente, di presidente e direttore business.

Come ricorda l'ad del fondo, Mario Fera, «Clessidra ha sostenuto con risorse proprie l'acquisizione di Acetum, supportato la crescita della società, accelerandone ulteriormente lo sviluppo». Ora, a missione compiuta, si passa all'incasso: 300 milioni di euro, tre volte il fatturato 2016 di Acetum, secondo fonti del settore.

L'azienda modenese, che produce anche glasse balsamiche, aceto di vino e di mela e altri condimenti, ha tra i suoi brand più importanti Mazzetti, numero uno in Germania e Australia, e Fini ed esporta in più di 60 Paesi nel mondo, con gli Stati Uniti e la Germania che rappresentano i mercati più importanti. L'aceto balsamico di Modena, uno dei più noti aceti del mondo, gode dell'Indicazione Geografica Protetta da parte dell'Unione europea grazie alla sua unicità di tradizione e provenienza, nonchè alla sua alta qualità. Difficile quindi che il prodotto venga contaminato dalla proprietà straniera, ma resta il fatto che Acetum è l'ennesima eccellenza tricolore finita nel carniere dei gruppi internazionali. Nell'agroalimentare, fa notare Coldiretti, tre marchi su quattro sono ormai in mano straniera. L'ultimo caso è stato la birra Peroni bevuta dai giapponesi di Asahi, ma la lista è lunga: dalle gelaterie torinesi Grom finite alla multinazionale Unilever, alla Bertolli, Carapelli e Sasso entrate a far parte del fondo statunitense CVC Capital Partner, fino alla Pernigotti comprata dai turchi di Toksoz.

E l'elenco potrebbe continuare. Non è comunque solo l'agroalimentare a far gola. Una ricerca di Kpmg rileva che nel primo semestre le acquisizioni di aziende italiane sono state 132, per un controvalore che sfiora i 10 miliardi.

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