La Bce si divide sui tassi. E il Btp rivede quota 2%

Parigi vuole agire entro fine anno e Berlino: "Centrale lo spread". Più vicina la stretta Fed

La Bce si divide sui tassi. E il Btp rivede quota 2%

«Monitoriamo attentamente l'andamento dei rendimenti e degli spread nell'area dell'euro e siamo pronti a contrastare gravi distorsioni del mercato che portano alla frammentazione». La tedesca Isabel Schnabel passa - a torto - per essere il poliziotto buono nel consiglio direttivo della Bce. Quello cattivo è il presidente della Bundesbank, Joachim Nagel, uno col physique du rôle giusto per replicare le ruvidezze di Jens Weidmann, suo predecessore. Nagel vuole liquidare al più presto l'armamentario delle misure espansive e divorziare in fretta dalla politica dei tassi a zero. Su queste posizioni da falco sta provando a coagulare consensi anche sondando territori fino a ieri inaccessibili. Pare, per esempio, aver trovato sponda nel governatore della Banca di Francia. Solitamente felpato, alla London School of Economics il banchiere transalpino l'ha buttata lì: il piano di acquisto titoli, cioè il vecchio Qe di Mario Draghi, potrebbe concludersi nel terzo trimestre di quest'anno. Tradotto: mani più libere per agire sul costo del denaro già entro la fine dell'anno.

Lo iato tra chi spinge da una parte («Cautela, c'è il rischio di fare danni») e chi dall'altra («Agiamo subito») è la plastica rappresentazione della situazione attuale all'interno dell'Eurotower. Dove l'inflazione rampante (al 5,1% in gennaio) ha reso meno granitiche le certezze di lasciare fermi i tassi per l'intero 2022. I mercati mettono in conto due strette entro dicembre, motivo per cui nelle riunione del 10 marzo Francoforte dovrà prendere una posizione netta. Gli ondeggiamenti nella comunicazione di Christine Lagarde, capace la scorsa settimana di contraddirsi nell'arco di 24 ore, non saranno più tollerati. Anche perché fra meno di un mese la Bce avrà avuto modo di riflettere sull'andamento dei prezzi al consumo e sulla tenuta della ripresa. Sono i due poli destinati a condizionarne le mosse. Nessuno si aspetta che il carovita si sgonfi all'improvviso. Non con questi prezzi del petrolio: ieri il Wti si è attestato a 93,62 dollari e il Brent oltre quota 95 complici le incertezze sul fronte ucraino, mentre le Borse europee hanno chiuso deboli in attesa dei verbali Fed. Da cui è poi emerso che la banca centrale Usa ritiene «presto» opportuna una stretta ai tassi se l'inflazione non cala «come previsto».

Se la Bce decide di aggredire l'inflazione a colpi di strette sui tassi deve mettere in conto un impatto su crescita e Borse. Parlando di spread, Schnabel non ha però chiarito quale sia la soglia di dolore che la Bce è disposta a tollerare.

Ma un fatto è certo: l'Italia ha visto impennarsi i differenziali di rendimento tra Btp e Bund dai poco più di 100 punti di ottobre agli attuali 163, con il tasso del decennale tornato ieri a toccare la soglia psicologica del 2% per la prima volta da maggio 2020. Sono segnali. Che ci dicono che è il caso di cominciare a temere un aumento strutturale di 50 punti dello spread. Per il Tesoro significherebbe un maggiore esborso annuo attorno a 1,5 miliardi.

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