Serviva un soffio di vitalità: è arrivato. Tra la sorpresa degli economisti ormai rassegnati al peggio, la Germania scansa la recessione tecnica tirando fuori dal cilindro una crescita del Pil nel terzo trimestre dello 0,1% dopo la frenata dello 0,2% fra aprile e maggio. Viste le condizioni non particolarmente favorevoli per un'economia basata sulle esportazioni come quella tedesca, il dato - per quanto asfittico - ha qualcosa di sorprendente. Ma per Berlino è, soprattutto, l'appiglio fondamentale per continuare a mantenere immutati i connotati della propria politica fiscale fortemente concentrata sull'accumulazione di un più che robusto surplus di bilancio. Da non far circolare come vettore di sviluppo. Cassaforte chiusa a doppia mandata, malgrado un avanzo superiore al 6% sia considerato fuorilegge dalle regole comunitarie che prevedono un reimpiego della quota in eccedenza. Regola di cui i tedeschi si sono sempre infischiati. Non perderanno il vizio, come risulta evidente dalle parole di ieri del ministro delle Finanze, Olaf Scholz: «L'economia tedesca non è in crisi, non c'è bisogno di stimoli». Respinte quindi al mittente le richieste della presidente della Bce, Christine Lagarde, che aveva pungolato la Germania a utilizzare il debordante avanzo. Anche Mario Draghi ci aveva più volte provato, ma senza successo.
Ora, un rimbalzo da gatto morto non cambia la realtà. È, semmai, la prova di una stagnazione in atto da almeno un anno. Dal terzo trimestre dell'anno scorso, l'espansione economica non ha mai superato lo 0,1%. Nulla per un Paese abituato in passato a ben altro passo di crescita. E se i consumi privati - soprattutto di automobili dopo la bufera del diesel-gate - e un inopinato rialzo dell'export hanno puntellato l'ultimo dato del Pil, l'impalcatura resta fragile. Così si torna al punto di partenza, quello legato all'impiego del surplus. «C'è da chiedersi - si domanda Daniela Schwarzer, direttrice del German Council on Foreign Relations - quali saranno le fonti della crescita futura per il Paese e la sfida per cambiare l'economia tedesca da un punto di vista strutturale è enorme... Servono investimenti in istruzione, ricerca e innovazione oltre che investimenti in infrastrutture».
Anche perché puntare su una rapida risoluzione del conflitto commerciale tra Usa e Cina può rivelarsi una scommessa azzardata. Il Wall Street Journal riportava ieri che la firma della Fase 1 dell'accordo rischia di incagliarsi. E non solo perché i cinesi pretendono la rimozione dei dazi prima di ratificare l'intesa: Pechino sembra non volerne sapere di quantificare gli acquisti di prodotti agricoli americani, preferendo un impegno generico sullo shopping di beni quali i semi di soia o la carne di maiale. Al contrario, Donald Trump ha più volte affermato che l'intesa raggiunta col Dragone prevede acquisti annui fino a 50 miliardi di dollari. Insomma, una gran confusione. Che l'inquilino della Casa Bianca non fa nulla per risolvere. Ieri il tycoon ha usato la crescita dei profitti a fine ottobre e le rassicuranti previsioni per la stagione natalizia di Walmart per attaccare ancora una volta il capo della Fed, Jerome Powell. «Walmart ha annunciato grandi numeri. Nessun impatto dai dazi (che stanno contribuendo con miliardi di dollari al nostro Tesoro).
Inflazione bassa (hai sentito Powell?)!», ha twittato Trump, che dalla banca centrale pretende l'azzeramento dei tassi. Replica indiretta del successore di Janet Yellen davanti al Congresso: «Generalmente scambi commerciali liberi e giusti sono una buona cosa». La guerra continua.
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