«Stranieri, state alla larga dalle nostre aziende tecnologiche!». Anche se ancora manca l'abituale tweet di conferma, Donald Trump ha già deciso: d'ora in poi, gli investimenti delle imprese internazionali nell'hi-tech a stelle e strisce saranno soggetti a restrizioni. È l'ennesimo passo nella disputa ingaggiata dall'inquilino della Casa Bianca col resto del mondo, forse il superamento del punto di non ritorno, quello che impedisce ogni risoluzione negoziale. Insomma, il preludio a una guerra commerciale irreversibile. È lo scenario peggiore per i mercati, accomunati ieri da un lunedì horror da Oriente a Occidente, con l'Europa piegata da perdite attorno o superiori ai due punti percentuali (-2,44% Milano) e Wall Street stretta tra i ribassi del Dow Jones (-1,5% a un'ora dalla chiusura) e la picchiata del Nasdaq (-2,3%), dove ha pesato la presenza di imprese cinesi come Alibaba e JD.Com.
Colpisce, soprattutto, l'accelerazione impressa dal presidente Usa nella war trade che ha scatenato, e quel suo allargare i fronti del conflitto. Anche se la strategia del divide et impera non sembra funzionare, visto che sull'asse Bruxelles-Pechino stanno prendendo forma ulteriori misure di ritorsione e un progetto comune di riforma delle regole del Wto. Ma Trump va avanti. Affidando al segretario al Tesoro, Steven Mnuchin, il compito di bollare come «notizie false» le indiscrezioni raccolte dal Wall Street Journal e da Bloomberg su un piano per limitare gli investimenti delle aziende del Dragone in società tecnologiche degli Stati Uniti. In realtà, dettaglia Mnuchin, l'annuncio sulle limitazioni «riguarderà non solo la Cina, ma tutti i Paesi che stanno cercando di rubare la nostra tecnologia».
Washington alza quindi la posta dopo aver introdotto dazi su acciaio e alluminio; colpito con tariffe punitive per 50 miliardi di dollari le merci cinesi; minacciato nei giorni scorsi la Cina di alzare i beni tassabili di oltre 400 miliardi; e introdotto dazi sulle importazioni di auto europee. Malgrado l'ultima mossa a difesa dell'hi-tech sia a livello globale, il vero bersaglio resta l'ex Impero celeste e in particolare il progetto «Made in China 2025» con cui i cinesi puntano a diventare leader assoluto in 10 aree tecnologiche, tra cui l'informazione, l'aerospaziale, i veicoli elettrici e le biotecnologie. La pazienza finora mostrata dal Paese orientale, che si è limitato a tassare 659 prodotti importati dagli Usa, sembra però finita. Il presidente cinese Xi Jinping lo ha fatto ben capire in un incontro avuto con 20 tra i più importanti ceo americani e europei: «In Occidente se qualcuno ti colpisce sulla guancia sinistra, porgi l'altra guancia. Nella nostra cultura rispondiamo con un pugno». Cazzotti, per esempio, sotto forma di un blocco delle operazioni di fusione e acquisizione che coinvolgono società Usa; oppure, nella dilatazione dei tempi per la concessione di licenze; fino al suggerire a un miliardo di consumatori di evitare i prodotti americani. La Apple, con i suoi 40 miliardi di dollari ricavati in Cina dagli iPhone, non ne sarebbe granchè contenta.
Anche l'Europa affila le armi. Dopo aver attivato tariffe del 25% su 2,8 miliardi di prodotti iconici Usa, come jeans e moto, Bruxelles si prepara a replicare a Washington con contromisure proporzionate se non verranno rimossi i dazi sulle auto.
Di sicuro, chi uscirà sconfitto dalla guerra commerciale sono i consumatori. La Harley Davidson, tra le aziende colpite dalle misure Ue, ha già fatto sapere che ogni suo modello importato in Europa costerà 2.200 dollari in più.
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