La partita per il controllo su Carige è entrata nel vivo e c'è da scommettere che si giocherà fino all'ultimo secondo. Oggi scade il termine per la presentazione delle liste in vista dell'assemblea del 20 settembre, chiamata a eleggere il nuovo vertice, dopo che le defezioni dell'ultimo mese e mezzo hanno fatto decadere il precedente. Al momento sono tre le liste in corsa di cui due di minoranza (Assogestioni che rappresenta il 2,9% del capitale e Coop Liguria con l'1,8%) e una di maggioranza presentata da Malacalza Investimenti (al 23,9% del capitale). All'appello mancano Gabriele Volpi (al 9,9%) alleato storico di Aldo Spinelli (all'1% circa del capitale) e Raffaele Mincione (entrato lo scorso inverno e ufficialmente al 5,4% del capitale anche se visto vicino al 10%). Dalla decisione del finanziere di presentarsi con Volpi dipenderà il futuro assetto di controllo della banca genovese. Il sistema elettorale è proporzionale e, in caso di molteplicità di liste, potrebbe non risultare alcun vincitore effettivo.
Lo scontro è tra due opposte visioni sul futuro della banca fondata nel 1483. Da un lato quella di Vittorio Malacalza che intende proseguire l'azione di risanamento con le sole forze dell'istituto, per poi approdare a un matrimonio di interesse nelle migliori condizioni possibili. Mincione invece appoggia la linea dell'ad Paolo Fiorentino di una rapida messa in vendita della banca. La carta vincente di Malacalza per ottenere l'appoggio degli istituzionali (tra cui la società pubblica Sga a cui fa capo il 5,3% del capitale) sono i nomi di comprovata esperienza proposti in lista tra cui Piero Modiano, numero uno di Sea e candidato presidente e Fabio Innocenzi, country manager per Ubs Italia e ad in pectore. Se la lista Malacalza risultasse vincente, si tratterebbe del quarto vertice dall'ingresso dell'imprenditore nell'istituto ligure nel 2015. In questo periodo si sono alternati alla poltrona di ad Pietro Montani, Guido Bastianini e da ultimo lo stesso Fiorentino con cui l'azionista di riferimento di Carige è entrato in rotta di collisione con la ricapitalizzazione da 544 milioni di euro dello scorso autunno.
Chiunque prenderà le redini dell'istituto genovese dovrà tuttavia agire rapidamente per evitare gli scenari più foschi. La risoluzione (e con questa la messa in atto del bail in per azionisti, obbligazionisti e correntisti) paventata un anno fa è ancora un rischio concreto. Lo ha messo recentemente nero su bianco, Moody's. La Bce ha dato tempo a Carige fino a fine novembre 2018 per presentare un piano che ripristini e assicuri in modo sostenibile l'osservanza dei requisiti patrimoniali al più tardi entro il 31 dicembre 2018. La banca è in rosso (nel semestre ha perso 20,5 milioni), presenta un rallentamento in termini di intermediazione netta (scesa a 109 milioni dai 120,9 milioni del 2017), commissioni nette (a 120 da 122 milioni) e commissioni da trading (a 14,8 da 18,7 milioni) e recupera in termini di redditività grazie prevalentemente al taglio dei costi, personale compreso (rispetto a giugno 2017 ci sono 380 impiegati e 26 sportelli in meno). Soprattutto però, come evidenziato dall'Eurotower, Carige ha un deficit patrimoniale.
Il total capital ratio, uno degli indici che mostra la capacità di una banca a restituire i depositi, è al di sotto dei requisiti richiesti dalla Bce (al 11,9% contro 13,125%) e sconta la mancata emissione del previsto bond subordinato fino a 500 milioni e delle cessioni programmate ma non ancora portate a termine.
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