La Cina perde lo scettro di primo creditore Usa

In ottobre venduti T-Bond per 41,3 miliardi di dollari. Lo stock sceso a quota 1.115 miliardi

Rodolfo Parietti

Una volta c'era la «strategia dell'elastico», usata dalla Cina con meticoloso rigore per svalutare o proteggere lo yuan. Una moneta-pongo, certo poco stabile per aspirare allo status di valuta di riserva. Dall'ottobre scorso, però, qualcosa è cambiato: il renminbi è entrato a far parte del paniere del Fondo monetario internazionale, un club esclusivo fino ad allora riservato solo a dollaro, euro, sterlina e yen. Il biglietto d'ingresso ha però richiesto un prezzo da pagare: per tutto il mese, Pechino ha dovuto attingere alle proprie riserve in valuta straniera con l'obiettivo di impedire una svalutazione che avrebbe subito macchiato la reputazione della valuta nazionale e anche per frenare l'emorragia di capitali dalla Cina.

Così, la People's Bank of China (la banca centrale) si è vista recapitare l'ordine di vendere massicce quantità di Treasury Usa. Non una novità, visto che nei precedenti quattro mesi era successa la stessa cosa. Questa volta, però, la cessione di T-bond per un controvalore di 41,3 miliardi di dollari, che ha fatto scendere a 1.115 miliardi lo stock complessivo di debito Usa in mani cinesi, ha provocato lo scivolamento dell'ex Celeste Impero al secondo posto nella classifica mondiale dei creditori di Washington. Sul gradino più alto del podio si è insediato il Giappone, con 1.132 miliardi di dollari.

Non è comunque certo la prima volta che le autorità monetarie del Dragone agiscono a protezione dello yuan. Non a caso, le riserve forex del gigante asiatico sono scese a quota 3.050 miliardi di dollari, 1.000 miliardi in meno rispetto a metà 2014. Una flessione che dura ininterrottamente da sette mesi senza però riuscire a impedire al renminbi di scivolare ai minimi sul biglietto verde degli ultimi otto anni e mezzo.

Un trend che, per gli analisti, non è destinato a finire nel breve periodo. La recente decisione della Federal Reserve di alzare i tassi è tra gli elementi destinati a indebolire ulteriormente lo yuan, vista la forza del dollaro. E se l'anno prossimo Janet Yellen riuscirà nell'intento di mandare in porto le tre strette ipotizzate, è assai probabile un ulteriore apprezzamento del biglietto verde. Per Pechino, tuttavia, la decisione di cedere una parte dei bond a stelle e strisce in portafoglio non è facile. Il rischio è infatti quello di dover iscrivere a bilancio ingenti perdite in seguito al crollo subìto dai prezzi nelle ultime settimane, col contestuale aumento dei rendimenti, a causa delle maggiori aspettative di un ritorno di fiamma dell'inflazione e di tassi d'interesse appunto in ascesa.

Inoltre, non è ancora ipotizzabile quale sarà la portata

dell'impatto del cambio di politica monetaria Usa sulle fuoriuscite di capitali, che nel terzo trimestre hanno raggiunto i 1.700 miliardi di yuan (247 miliardi di dollari circa) nonostante le misure introdotte dal governo.

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