Quasi 370 miliardi di euro messi sul tavolo a partire dal 2010, in una specie di folle (e costoso) gioco dell'oca. Perché a distanza di sette anni dal primo intervento di salvataggio, dopo ribaltoni assortiti di governo, disordini di piazza, scioperi, suicidi, lacrime e sangue, la Grecia si ritrova quasi al punto di partenza: la crescita resta assai modesta ed è ancora un miraggio la capacità di finanziarsi sui mercati anche se «questi programmi hanno promosso le riforme e hanno impedito il default». In 120 pagine fitte di grafici, tabelle, annotazioni ma soprattutto critiche, la Corte dei Conti europea punta l'indice contro il do ut des della Troika nei confronti di Atene, seppure a essere chiamata in causa sia solo la Commissione Ue. Fuori giurisdizione il Fondo monetario internazionale, i magistrati contabili si sono trovati a cozzare contro il muro di gomma della Bce: la banca guidata da Mario Draghi si è rifiutata di fornire le informazioni richieste, contestando il mandato della Corte.
Poco male, visto che l'analisi appare comunque ricca, scrupolosa e documentata. A colpire sono in particolare due elementi: la sistematica sottovalutazione della crisi ellenica; e il mancato monitoraggio dell'attuazione delle riforme concordate (lavoro, pubblica amministrazione, finanza) che ha comportato continue proroghe per aggiustare gli obiettivi. Peggio il fatto che quasi tutte le proiezioni macro-economiche si sono rivelate sbagliate per eccesso: Pil, consumi privati, investimenti. Un solo esempio: la disoccupazione ha toccato un picco del 27% nel 2013, quando invece le stime della Troika la collocavano a un massimo del 15,2% nel 2012. Con scostamenti così significativi tra la realtà e il mondo virtuale dei creditori, non sorprende il crollo del 25% subìto dal Pil greco dal 2009 al 2016 e come siano state mal tarate le misure di risanamento. La disputa sull'avanzo primario e sulla sostenibilità del debito tra Fmi e alcuni Paesi europei (in primis la Germania) ne è la prova. Certo, qualcosa è stato raddrizzato: «I programmi hanno prodotto un notevole risanamento», afferma il rapporto, con un saldo di bilancio migliorato del 17% del Pil tra il 2009 e il 2015, ma «il declino dell'attività economica» e «i costi di finanziamento del debito precedentemente accumulato hanno prodotto un costante aumento del rapporto debito-Pil», al 181% rispetto al 126,7% del 2009. Così accentuando quella circolarità che è tipica della Grecia: i quattrini faticosamente ottenuti non fanno nemmeno in tempo a entrare in cassa, che già devono essere restituiti per onorare gli impegni finanziari. Ciò vale anche per un settore radicalmente ristrutturato come quello finanziario e in particolare per le banche: oltre 45 miliardi sono stati iniettati nel sistema, «somma potenzialmente recuperabile solo in piccola parte».
Nella sostanza, ciò che la Corte imputa è una visione di corto respiro, l'«assenza di una strategia di risanamento di bilancio favorevole alla crescita», indispensabile per riportare la Grecia con le proprie gambe sui mercati. Già questa è una delle 11 raccomandazioni inserite nella relazione, tra le quali spicca l'invito rivolto alla Commissione Ue (e all'intera Troika) a migliorare i rapporti: «Non c'era abbastanza trasparenza circa i ruoli dei partner, la suddivisione delle responsabilità o i metodi di lavoro», è l'appunto rivolto.
Inoltre, andrebbe potenziato il lavoro analitico sull'impostazione delle riforme, con un'attenzione particolare nel valutare l'opportunità e la tempistica delle misure, data la situazione del Paese mediterraneo.Bruxelles ha accettato integralmente le raccomandazioni. Basterà per cambiare registro?
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