Quando ci si impunta, anche la Germania rientra nei ranghi ed è costretta ad abbassare la cresta. Il 4 ottobre scorso la Corte di giustizia Ue ha riconosciuto la violazione della regole da parte della Germania a proposito di una disputa che risale al 2013. La Commissione Ue aveva accusato la Germania di non aver impedito a Daimler di vendere veicoli che utilizzavano gas refrigeranti fuori norma e, dunque, considerati dannosi per l'ambiente. Da qui l'avvio della procedura d'infrazione nei confronti di Berlino, quando commissario Ue all'Industria era Antonio Tajani, attuale presidente del Parlamento europeo.
La resa dei conti è arrivata il 4 ottobre scorso, dopo che il gruppo tedesco, nel luglio del 2013, si era anche visto sospendere temporaneamente, in Francia, le immatricolazioni delle automobili, in gran parte Mercedes-Benz, alle quali Berlino aveva dato l'ok all'omologazione per aggirare la direttiva Mobile air conditioning.
In pratica, il gruppo automobilistico di Stoccarda aveva deciso di continuare a dotare le macchine prodotte con il refrigerante R134a messo fuori norma nel 2011 da Bruxelles per gli effetti negativi sul clima. Decisione motivata dai tedeschi in quanto, a loro parere, il gas reso obbligatorio (1234yf) sarebbe stato facilmente infiammabile. Una presa di posizione risultata poi vana, visto che nessuna tra le autorità preposte aveva riscontrato il rischio di incendio a causa appunto del nuovo gas refrigerante.
«La sentenza arrivata il 4 ottobre scorso - commenta il presidente del Parlamento Ue, Tajani - rappresenta una vittoria della giustizia europea. E conferma la bontà della decisione presa allora dalla Commissione a tutela dell'ambiente. È la dimostrazione che, quando sono stato commissario, non ci sono stati favori per nessuno. E che è possibile aprire una procedura d'infrazione anche contro la Germania. Basta volerlo».
«La Repubblica federale di Germania è venuta meno agli obblighi a essa incombenti», motiva senza mezzi termini la sentenza la Corte di giustizia Ue.
Il verdetto è arrivato negli stessi giorni in cui è entrata nel vivo, a Bruxelles, la discussione sui nuovi limiti alle emissioni di CO2 a carico delle auto e dei furgoni: -15% entro il 2025 e -35% entro il 2030 secondo il faticoso accordo raggiunto tra i ministri dell'Ambiente Ue. In questo caso si è imposta la linea tedesca, con Berlino impegnata a difendere la sua industria dell'auto. Intanto, al risultato della trattativa tra i ministri dell'Ambiente, si aggiunge la clausola secondo cui, nel 2024, la Commissione Ue potrà valutare il funzionamento del regolamento e, nel caso il mercato non risponda alle attese, si giunga a definire un percorso di riduzione delle emissioni con l'introduzione di un nuovo target al 2040.
Preoccupato per la nuova stretta in arrivo sulla CO2 è il numero uno del gruppo Volkswagen, Herbert Diess: «Se
i ministri europei puntassero a ridurre le emissioni di CO2 del 40% tra il 2020 e il 2030, circa un quarto dei posti di lavoro nelle nostre fabbriche dovrebbe andarsene nel giro di dieci anni: un totale di 100mila posti».
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