"Errore che costerà caro Ora l'economia Usa rischia una dura frenata"

Il capo economista di Confindustria: occhio alla reazione cinese sul debito americano

"Errore che costerà caro Ora l'economia Usa rischia una dura frenata"

«È un errore, un errore che pagheranno caro». Andrea Montanino, capo economista di Confindustria, conosce bene gli Stati Uniti. Dopo un quinquennio speso alla Commissione europea a scandagliare principalmente il debito pubblico italiano, ha vissuto per un lustro a Washington, dove sedeva sulla poltrona di direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale. Era pre-Trump, altri tempi. Quando l'America non era ancora curva su se stessa a guardarsi il proprio ombelico.

Dottor Montanino, eppure Trump sembra seguire un percorso coerente: prima l'uscita dall'accordo trans-pacifico, poi il congelamento del Ttip, quindi la minaccia di alzare un muro col Messico. Ora siamo, con i dazi, all'ennesimo capitolo dedicato al protezionismo. Cos'è che non quadra?

«Per prima cosa, il fatto che per introdurre i dazi è stata sollevata una questione di sicurezza nazionale. Se c'è qualcosa che unisce quel Paese, è proprio il tema della sicurezza nazionale, una vera ossessione. Si è fatto leva sul senso patriottico per fare un'operazione economica. E tutto ciò nonostante le pressioni fortissime da parte di una nutrita comunità di imprenditori contraria a tariffe punitive».

Con l'Europa che sembra aver scongiurato il pericolo di queste misure, tutto il peso dei dazi ricade sulla Cina. Le conseguenze?

«Il problema della concorrenza sleale andava affrontato in sede diplomatica: così si rischia un'escalation di ritorsioni. Ma non solo. Tre esempi: l'Iphone è un prodotto americano assemblato in Cina, la Bmw è l'auto più esportata dagli States ed è americano il 70% dei prodotti importati dal Messico. In sintesi: chi viene veramente danneggiato dai dazi? L'amministrazione Usa ha una visione settoriale senza averne una strategica: qualche anno fa ho partecipato a una riunione a porte chiuse in cui due ministri festeggiavano per essere riusciti a vendere polli alla Cina. Oggi si barattano vantaggi di breve periodo con svantaggi a medio termine. Alla fine, ai consumatori americani costerà di più fare la spesa».

Non c'è solo l'aspetto commerciale, ma anche quello finanziario da tenere presente. Pechino è il principale detentore di titoli del debito Usa...

«Vero. Per effetto della riforma fiscale l'indebitamento è destinato a salire, e il Tesoro avrà bisogno di vendere bond a prezzi ragionevoli. Ma in caso di conflitto commerciale la Cina, un Paese verticistico, si muoverebbe a tutto campo: potrebbe decidere di sostituire con debito europeo quello statunitense».

È anche per questo che le Borse ieri sono scese?

«Il rischio, sottovalutato da Washington, è di provocare un aumento dei tassi destinato a impattare sulle imprese».

L'America potrebbe scivolare in recessione in assenza di un intervento della Fed?

«Grazie a consumi e redditi in crescita e al taglio delle tasse, è più probabile solo un rallentamento dell'economia».

Escludere dai dazi l'Europa ma non la Germania sarebbe stato uno sbaglio grave?

«Un errore madornale: Berlino è tra le prime quattro potenze economiche mondiali e l'unica forza politica consistente in Europa».

E l'Italia?

«Siamo tra i Paesi

con maggiore surplus verso gli Usa e c'è molta Italia nei prodotti americani di alta qualità. Inoltre, siamo ben considerati dai democratici e dai repubblicani non essendo così grandi da diventare un alleato ingombrante».

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