Con la Fed immobile l'export europeo rischia

Con la Fed immobile l'export europeo rischia

Il rinvio dell'exit strategy da parte della Federal reserve, di cui già domani si potrebbe avere conferma al termine della riunione del Fomc, rischia di impattare ulteriormente sull'euro. La moneta unica continua a flirtare pericolosamente con quota 1,40 dollari, nel silenzio totale delle istituzioni europee, nonostante gli effetti deleteri sulle esportazioni (a parte quelle tedesche, insensibili al cambio forte) e, dunque, su una ripresa economica fiacca e disomogenea.
È ormai assodato che la Banca centrale Usa non avvierà il tapering prima della prossima primavera, quando dovrebbero essere stati sciolti i nodi sul tetto del debito e sul budget federale e una volta completato il passaggio del testimone tra l'attuale presidente, Ben Bernanke, e Janet Yellen. Mantenere per almeno altri sei mesi stimoli per 85 miliardi di dollari al mese avrà con buona probabilità l'effetto di pompare ancor di più la bolla speculativa sui mercati finanziari. Non è invece del tutto scontata una ricaduta benefica sull'economia reale. Semmai, c'è un altro effetto da mettere in conto: il dollaro sarà destinato a svalutarsi ancora, in assenza di dichiarazioni a sostegno del biglietto verde controfirmate dalla Casa Bianca, dal dipartimento del Tesoro o della stessa Fed. È però probabile che ciò non accada. E per un motivo: l'indebolimento della valuta americana sta aiutando il made in Usa proprio nel momento in cui non appare soddisfacente la recovery, ancora incapace di incidere in profondità sul tasso di disoccupazione. Una piaga che la Yellen tenterà di sanare a ogni costo. Anche perché i troppi americani a spasso sono costretti a tenere ben serrati i portafogli. E pochi consumi significano inflazione troppo bassa. Un pericolo, secondo il New York Times. Il rischio è quello di scivolare in deflazione, aprendo così la via alla stagnazione. Se l'intento di Bernanke è quello di riposizionare i prezzi attorno al 2% contro l'1,2% attuale, allora l'euro subirà un forzato rafforzamento. A dispetto di un ciclo economico tutt'altro che esuberante.
Un primo assaggio delle ricadute di questo freno valutario lo si è avuto con i recenti dati sull'attività delle imprese, che su ottobre hanno riservato una doccia fredda.

Nel frattempo dalla Bce non sono giunti segnali che lascino presagire imminenti ammorbidimenti della linea nella riunione del 7 novembre. Sempre che Mario Draghi non tiri fuori dal cilindro un'altra Ltro. I 1.000 miliardi assegnati alle banche, tra fine 2011 e inizio 2012, permisero infatti di abbassare il cambio euro-dollaro da 1,30 a 1,26.

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