La Fed taglia ancora i tassi ma poi chiude la porta a Trump

Powell abbassa di 0,25% a 1,5-1,75, chiarisce che oltre non andrà e fa infuriare il tycoon che vuole il livello zero

La Fed taglia ancora i tassi ma poi chiude la porta a Trump

La Federal Reserve di Jerome Powell è nei guai. La banca centrale Usa ha tagliato ieri per la terza volta da luglio i tassi di un quarto di punto, portandoli all'1,5-1,75%, ma al tempo stesso ha detto basta, perché adesso «è il momento di fare una pausa». Nell'immediato, da qui a fine anno, significa bocce ferme. Salvo catastrofi, niente regali sotto l'albero di Natale sotto forma di una quarta sforbiciata alla politica monetaria. È come una porta sbattuta in faccia a Donald Trump, che qualche ora prima, in un tweet enfatico («La più grande economia della storia americana!») aveva celebrato la crescita del Pil Usa nel terzo trimestre dell'1,9% (contro l'1,6% atteso dagli analisti), che è però il secondo peggior score durante la sua amministrazione. Il tycoon chiede da tempo alla Fed di azzerare il costo del denaro. Serve per arrivare alla corsa per la riconferma alla Casa Bianca con un'economia in piena salute.

Con la disputa commerciale con la Cina ancora in piedi, non è detto che vada così. Anche perché sulla formalizzazione della prima fase di accordo con Pechino si addensano nubi nere. Non solo i lavori preparatori all'intesa sarebbero in ritardo e il Dragone non starebbe ottemperando agli impegni di acquistare più prodotti agricoli Usa, ma il Cile, a causa dei disordini interni, ha anche annullato il summit Apec di metà novembre che doveva essere teatro della firma fra Trump e Xi Jinping.

E adesso, a complicare i piani di The Donald, ci si mette pure «Jay il pazzo», per usare l'elegante definizione del presidente americano. Lo scarto fra le linee-guida mantenute dal giugno scorso, e fino alla penultima riunione, si coglie nel passaggio del comunicato in cui la Fed ha rimosso un passaggio-chiave, quello dedicato all'impegno ad «agire in modo appropriato per sostenere l'espansione». Ora, invece, la tempistica e le dimensioni dei tassi saranno valutate sulla base delle «condizioni economiche».

Si tratta di una virata hawkish, da falco, che per l'istituto di Washington ha un significato preciso: l'aggiustamento dei tassi può dirsi concluso. Trump deve farsene una ragione. E anche i mercati, peraltro accontentati con un ulteriore allentamento che si somma ai 200 miliardi di liquidità iniettati con operazioni repo e al Qe da 60 miliardi di dollari al mese appena varato e che durerà «almeno fino al secondo trimestre del prossimo anno», ha rivelato Powell.

La decisione di abbassare il costo del denaro, è stata motivata con l'abulica inflazione ancora sotto il target (1,6 contro 2%) e con i rischi che derivano dalle tensioni commerciali e dal rallentamento dell'economia globale. Ma, soprattutto, il successore di Janet Yellen ha mandato un messaggio chiaro, sottolineando più volte come i tassi saranno «probabilmente appropriati» (cioè sui valori attuali) fintanto che «le prospettive rimarranno sostanzialmente in linea con le nostre aspettative».

Ma senza una «sostanziale risalita» dei prezzi al consumo, di un rialzo dei tassi non se ne parla proprio. Parole che hanno rassicurato Wall Street (+0,3% a un'ora dalla chiusura), ma non certamente Trump. Da mettere in conto, presto, un tweet intinto nel veleno.

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