Fed, il taglio degli aiuti rischia di slittare a giugno

Fed, il taglio degli aiuti rischia di slittare a giugno

«Washington, abbiamo un problema». Il compromesso raggiunto in extremis sul tetto del debito e sul budget federale non ha spento le spie d'allarme sul quadro di comando della Federal Reserve. Ottobre doveva essere il mese del grande annuncio, con Ben Bernanke pronto a giocare a carte scoperte sul tapering. Non sarà così: salvo sorprese clamorose, nella riunione del board a fine mese nulla verrà ancora deciso su quando iniziare la rimozione degli stimoli.
Lo shutdown non ha solo provocato danni economici valutati attorno ai 24 miliardi di dollari, una stima che non tiene conto del prevedibile impatto sulle abitudini dei consumatori, che andrà misurato soprattutto nel cruciale periodo natalizio. Anche se i mercati non appaiono affatto turbati (a Wall Street lo Standard&Poor's ha messo a segno ieri un nuovo record, Madrid è balzato sopra i 10mila punti per la prima volta dal 2011, e tutti i listini hanno chiuso in rialzo), i 16 giorni di paralisi federale hanno privato la banca centrale della consueta bussola degli indicatori macro, utilizzata per valutare lo stato dell'economia e orientare la politica monetaria. Nel migliore dei casi, gli uffici di statistica hanno infatti lavorato a scartamento ridotto. I dati potrebbero arrivare prima delle fine del mese, ma rischiano di essere incompleti o inattendibili. Bocce ferme, dunque.
Così, la finestra utile per determinare la tempistica dell'exit strategy si restringe fortemente. A novembre il Fomc non si radunerà, mentre l'appuntamento di dicembre sarà l'ultimo sotto la presidenza di Bernanke prima del passaggio del testimone, a metà gennaio, a Janet Yellen.
È quindi più probabile che sia la prima presidente donna negli oltre 100 anni di storia della Fed a doversi far carico della decisione su quando e in che misura ridurre gli aiuti mensili per 85 miliardi. C'è però un grosso interrogativo: il cambio delle consegne potrebbe avvenire in un momento assai delicato. L'intesa al Congresso, giunta a poco meno di 36 ore dal default degli Stati Uniti, prevede l'autorizzazione al governo a sforare fino al 7 febbraio 2014 il tetto del debito Usa di 16.700 miliardi e prolunga il bilancio federale (scaduto il 30 settembre scorso) fino al 15 gennaio.

Difficile quindi ipotizzare qualsiasi scelta da parte dell'istituto centrale fino a quando i due nodi non saranno stati del tutto sciolti. Il giro di vite si sposta, verosimilmente a marzo, se non addirittura a metà del prossimo anno. Il rischio? Gonfiare ancor più la bolla speculativa e aumentare l'azzardo morale sui mercati.

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