Fmi e il nodo produzione

Guardiamo i numeri anche se non è un bel vedere. Oggi l'Italia fa registrare un -25% nel confronto con la produzione industriale di fine 2007. Ciò significa che, al di là di annunci e iniziative di piccolo cabotaggio, l'economia reale non ha beneficiato delle riforme necessarie per aggredire gli effetti prodotti dalla Grande Crisi. Non aver messo mano con risolutezza all'impianto della finanza pubblica ha impedito qualsiasi tentativo di ripresa. Nel manifatturiero, ma non solo. Ci si attendeva un calo della spesa pubblica con conseguente contrazione del prelievo fiscale. Non è accaduto. Ci si muove restando al palo. Il Fondo monetario internazionale è implacabile. Per il 2016 prevede un incremento della spesa pubblica di quasi quattordici miliardi. Davanti a queste cifre non può che prevalere l'incertezza. Che si unisce a una fiducia arrivata al lumicino. Mi domando cosa accadrà quando la Bce di Mario Draghi, in coincidenza con un aumento dell'inflazione, porrà termine al cadeau della caduta degli interessi sul debito pubblico. Se la crisi poteva rappresentare una buona opportunità per lasciarsi alle spalle, anche solo in parte, vecchie logiche figlie di una ideologia anti-industriale, possiamo dire che i decisori politici hanno fallito quell'appuntamento. Per quanto riguarda la riforma della pubblica amministrazione si attendono ancora i decreti attuativi. Se non si comincia da lì diventa improbabile vivere l'ebbrezza di un nuovo corso. Il governo si è concentrato sul fondo Atlante per rispondere alle sofferenze del nostro sistema bancario.

Lo Stato, come sempre, si occupa di salvataggi delle banche con interventi spot e improvvisati. Serve altro! Le imprese, quelle piccole in modo particolare, non chiedono salvataggi. Ma un piano industriale di ampio respiro. Per riveder le stelle.

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