L'Italia può battere la Germania. E non solo sui campi di calcio, ma anche sul terreno dell'economia. Parola del Fondo monetario internazionale. «L'Italia può fare di più» e «in termini di crescita è «di sicuro possibile» che possa fare come o meglio dei tedeschi, afferma Thomas Helbling del dipartimento economico del Fmi. Più facile che ciò avvenga nel medio termine, mentre è meno probabile sul lungo a meno se non interverranno riforme a correggere una produttività che resta bassa.
Insomma, non bastava la perdita di reputazione e l'incalcolabile danno al made in Germany provocati dalla truffa Volkswagen sulle emissioni: adesso Berlino deve digerire anche l'eventualità di un sorpasso finora mai messo in conto. Cosa che potrebbe accadere se per esempio il Pil subisse una perdita dell'1,1%, così come prefigurato dallo scenario più pessimistico sull'impatto del dieselgate disegnato da Axa. Nelle ultime stime l'Fmi ha già tagliato la crescita della Germania, con il Pil a +1,5% quest'anno contro il +1,6% di luglio e all'1,6% nel 2016 (-0,1%). Cifre perfettamente in linea con la media dell'eurozona, ma surclassate dalla Spagna, in espansione del 3,1% nel 2015 e del 2,5% nel 2016, tanto quanto previsto nell'aggiornamento dello scorso luglio. E in Italia, il Fondo vede una ripresa più forte: quest'anno la crescita sarà dello 0,8% (+0,1% rispetto a luglio) e dell'1,3% nel 2016 (+0,1%). «L'Italia è tornata, ma questo è solo l'inizio», il commento del premier Matteo Renzi. Le previsioni degli economisti di Washington restano comunque più caute di quelle del governo, anche se Carlo Cottarelli, direttore esecutivo del Fmi per l'Italia, è convinto che si può arrivare a una crescita dello 0,9%, come previsto nella nota di aggiornamento del Def.
Quanto all'economia globale, il Fondo impugna le forbici e taglia le stime. «I rischi verso il basso per l'economia mondiale - spiega Maurice Obstfeld, successore di Olivier Blanchard alla guida del dipartimento di Ricerca - appaiono oggi più pronunciati rispetto a pochi mesi fa». Di qui la limatura al Pil globale, destinato a crescere del 3,1% quest'anno per poi accelerare al 3,6% il prossimo.
Ma cosa ha determinato il peggioramento dell'outlook? In primo luogo, una diversa consapevolezza dell'impatto della frenata cinese. Il Dragone dovrebbe espandersi del 6,8% nel 2015 e del 6,3% nel 2016, ma il rallentamento rispetto al 2014 (+7,3%) ha creato uno choc imprevisto sui prezzi delle materie prime, specialmente dei metalli (la seconda forza avversa), con effetti «drammatici» sui Paesi emergenti e su quelli in via di sviluppo, oltre ad agire da freno sull'export verso l'ex Impero Celeste.
Gli Stati Uniti hanno le spalle abbastanza robuste (Pil a +2,5% nel 2015 e a +2,8% nel 2016) per reggere l'urto della frenata cinese, anche se sono tra i responsabili delle turbolenze internazionali a causa della normalizzazione della politica monetaria americana.
Il suggerimento rivolto alla Fed è il solito: prima di alzare i tassi, è meglio aspettare segnali di ripresa dell'inflazione. Consigli anche alla Bce, invitata a continuare il quantitative easing senza tralasciare misure per rafforzare i bilanci delle banche.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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