Come è possibile che la stessa persona che per una Procura è un testimone credibile e disinteressato, per altri pm sia invece un complice dei reati commessi e vada trascinato sul banco degli imputati? È da questa domanda che bisogna partire per capire la profondità del solco che separa in questo momento gli approcci allo scandalo Fonsai da parte delle due sedi giudiziarie coinvolte nei processi. Da una parte Torino, dall'altra Milano. Ieri, a confermare l'esistenza del solco, arrivano due decisioni non scontate: il tribunale di Torino respinge le istanze di trasferire a Milano il processo già in corso contro Salvatore Ligresti e i suoi manager; e lo stesso tribunale accoglie, insieme a quelle di migliaia di risparmiatori, le costituzioni di parte civile di Unicredit e di Mediobanca.
Sul banco degli imputati del processo torinese, siede anche Fulvio Gismondi, specialista in matematica finanziaria, di professione attuario. È lui il testimone che ha rivelato ai pm milanesi i trucchi impiegati da Fonsai per pareggiare i bilanci. Ma a Torino lo hanno imputato di falso in bilancio e aggiotaggio. Ovviamente Gismondi c'è rimasto malissimo, ma non è solo una questione di bon ton giudiziario. Dietro la decisione di incriminare Gismondi, ma soprattutto dietro l'ammissione di Unicredit e Mediobanca come parti civili, c'è una scelta precisa della Procura torinese: circoscrivere l'inchiesta agli ultimi anni della parabola Fonsai, quella in cui vengono messe in campo le operazioni sulle riserve sinistri per nascondere la voragine nei bilanci, senza andare a scavare nella fase precedente, analizzando quando e come la voragine si è creata.
La Procura di Milano ritiene che se si scavasse in quella direzione sarebbe piuttosto difficile considerare le due banche come vittime incolpevoli. L'acquisto di Fondiaria da parte di Ligresti nel 2002 viene finanziato con 400 milioni da Unicredit, e nel corso degli anni Mediobanca inserisce capitali per 1 miliardo e trecento milioni, mentre lo sforzo finanziario di Ligresti è vicino allo zero: è credibile che questo sia avvenuto senza che di fatto gli istituti di credito non acquisissero il pieno controllo dell'azienda? Ed è documentale che alcune operazioni catastrofiche finite nel mirino dei pm, come l'acquisizione della Ddor serba nel 2009, siano state finanziate da Mediobanca e gestite sotto la sua consulenza.
Si può ritenere, dunque, che se l'intera indagine Fonsai fosse stata gestita a Milano le due banche si sarebbero trovate in una posizione meno confortevole. Ieri, però, il giudice torinese Giorgio Gianetti, nel ribadire la propria competenza, afferma che «appare del tutto conforme a logica che una società con sede a Torino diffonda i comunicati nella sede medesima». Il riferimento è al comunicato del 23 marzo 2011 sul consolidato 2010.
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