Pierluigi Bonora
Renault o Psa come partner su misura per Fca; l'accelerazione degli investimenti annunciati a fine novembre; il ribilanciamento del Gec, la prima linea di manager che risponde all'ad Mike Manley, in funzione del ruolo dell'Italia; i timori per il rallentamento delle vendite del gruppo in Europa. Tutti temi caldissimi sui quali, alla vigilia di un incontro tra Fca e sindacati, esprime i propri punti di vista il leader della Fim-Cisl, Marco Bentivogli. E sarà il futuro dello stabilimento campano di Pomigliano l'oggetto del vertice da calendarizzare i primi di settembre.
Segretario Bentivogli, Pomigliano attende il Suv Alfa Romeo Tonale...
«Tema dell'incontro sarà la cassa integrazione in quella fabbrica. Intravediamo problemi se non saranno avviati rapidamente i lavori per ospitare questo modello. L'azienda dovrebbe quindi confermare il Suv medio di Maserati da produrre a Cassino. Bene la Fiat 500 elettrica a Mirafiori su una piattaforma che potrà sfornarne fino a 80mila. Ma quante se ne venderanno?».
Per Fca sarebbe meglio sposare Renault o Psa?
«Sicuramente Renault. Possono esserci sovrapposizioni nelle vetture compatte, ma Fca offre ai francesi il valore aggiunto del premium, con Alfa Romeo, e del lusso, grazie a Maserati. Renault, in proposito, è carente. Le alleate Nissan e Mitsubishi, poi, garantirebbero le competenze in tema di elettrificazione e guida autonoma».
Perché no con Psa?
«Fca e Psa sono complementari, ma i francesi sarebbero avvantaggiati sul fronte americano, visto che il Lingotto ne favorirebbe l'accesso. Bisogna, invece, iniziare a entrare con più forza in Asia. Quindi, sarebbe un accordo sbilanciato in favore di Psa».
Fca e Renault si sono allontanate a causa delle ingerenze dell'Eliseo?
«Il governo francese ha fatto un disastro. Sia il presidente Emmanuel Macron sia il ministro dell'Economia, Bruno Le Maire, hanno fatto una figuraccia. Si è assistito a un anti storico nazionalismo industriale. I due partner erano d'accordo su tutto: la completa assenza del governo italiano e la tracotanza di Parigi hanno fatto il resto».
La politica come deve agire in queste situazioni?
«Dev'essere molto attenta verso le grandi questioni industriali, ma senza assumere un dannoso atteggiamento invasivo».
Il presidente di Renault, Jean-Dominique Senard, ha tirato le orecchie all'Eliseo...
«Lo ha fatto all'assemblea degli azionisti, sottolineando come Renault, da sola, sia troppa piccola, e che si era trovata una soluzione al problema, avendo a portata di mano la possibilità di costruire un campione europeo dell'auto. Sentire un top manager francese parlare di industria europea non è cosa da poco».
Come è cambiata Fca dopo la scomparsa di Sergio Marchionne?
«Marchionne soffriva molto l'Italia a causa dei tanti problemi e le polemiche che lo hanno investito. Ma la conosceva molto bene. Ora si assiste a uno sbilanciamento, a livello manageriale, extra italiano. Nel Gec, l'organismo che prende le decisioni strategiche guidato dall'inglese Manley, ci sono solo Pietro Gorlier, capo dell'Emea, e Davide Grasso, coo di Maserati. Due italiani su 19 membri: un po' poco».
Cinque miliardi puntati da Fca sull'Italia in un momento di difficoltà del mercato.
«Nella situazione in cui si dibatte l'Europa, condizionata dai dazi, il governo uscente ha dimostrato incapacità nel gestire la transizione epocale del settore verso l'elettrico e la guida autonoma. La gente rinvia l'acquisto dell'auto perché è in confusione, tra l'elettrico portato sul palmo della mano, ma con i problemi infrastrutturali, e il diesel sotto accusa. Mi auguro che non ci siano più governi anti-industriali, come l'ultimo. Abbiamo solo l'1% delle colonnine di ricarica d'Europa. Il green, per loro, è stata solo una moda».
Le fabbriche Fca in
Italia sono sane?«Sono all'avanguardia per tecnologia e organizzazione del lavoro. Ma bisogna accelerare sugli investimenti. Un toccasana saranno le Jeep Renegade e Compass ibride plug-in di Melfi. Ma occorre spingere...».
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