Per i ritardi nei pagamenti le imprese hanno perso 35 miliardi solo nel 2014

Raffica di licenziamenti e imprese sull'orlo del fallimento. L'endemico ritardo nei pagamenti mette in ginocchio la ripresa

Per i ritardi nei pagamenti le imprese hanno perso 35 miliardi solo nel 2014

In Italia ci sono ben 3,4 milioni di imprese (circa il 76% del totale nazionale) che soffrono di problemi di liquidità. Il motivo? L'endemico ritardo nei pagamenti. A seguito dei mancati incassi, le perdite hanno toccato i 35 miliardi di euro. Col risultato (ovvio) che il 39% degli imprenditori non ha potuto assumere e il 20% si è addirittura visto costretto a licenziare. E c'è anche a chi va ben peggio: i ritardi nei pagamenti hanno spinto 700mila imprese (pari al 15% del totale nazionale) sull'orlo del fallimento. L'elaborazione realizzata dall'Ufficio studi della Cgia di Mestre sulla periodica indagine conoscitiva condotta a livello europeo da Intrum Justitia è una mappa allarmente del sistema Italia. Sistema che, senza un'inversione di tendenza, rischia di collassare.

"Le cause di queste criticità - segnala il segretario della Cgia Giuseppe Bortolussi - vanno ricercate nei tempi medi di pagamento effettivi presenti in Italia che intercorrono nelle transazioni commerciali sia tra imprese e pubblica amministrazione sia tra imprese private". Nel primo caso, i giorni medi necessari per il saldo fattura sono 165, nel secondo caso, invece, si arriva a 94 giorni. "In entrambe le situazioni siamo maglia nera quando ci confrontiamo con i nostri principali partner dell'Unione europea", denuncia Bortolussi facendo notare che, sebbene esista da due un decreto che recepisce la direttiva europea contro i ritardi nei pagamenti, "la situazione non è cambiata molto". Per legge il committente dovrebbe pagare il fornitore entro 30 giorni dal ricevimento della merce o dall'emissione della fattura. Salvo accordi tra le parti, il pagamento può slittare sino a 60 giorni e, in casi eccezionali, superare anche quest'ultima soglia. "Si auspicava che, finalmente, si fosse stabilito un principio fondamentale: chi lavora deve essere pagato in tempi certi e ragionevoli - continua Bortolussi - purtroppo, nonostante una leggera riduzione dei tempi medi, rimaniamo i peggiori pagatori d'Europa sia nel pubblico sia nel privato".

Tenendo conto della contrazione nell'erogazione del credito avvenuta in questi ultimi anni, del livello di tassazione che rimane ancora elevato e della dilatazione dei tempi con i quali le imprese (soprattutto quelle di piccola dimensione) vengono pagate dai propri committenti, non sorprende il fatto che molte attività si trovino in seria difficoltà. Oltre 700mila imprese hanno denunciato che, a seguito dei mancati pagamenti, sono a rischio chiusura. Proprio a fronte di questi drammatici dati, Bortolussi invita il premier Matteo Renzi a rivedere la legge in vigore rendendo "più stringenti le sanzioni contro coloro che deliberatamente non rispettano i tempi di pagamento". "Fortunatamente - conclude Bortolussi - grazie all'introduzione dell'Iva per cassa, che dal mese di dicembre del 2012 consente alle aziende con un fatturato annuo inferiore ai 2 milioni di euro di versare l'Iva allo Stato solo dopo il pagamento avvenuto, le piccole imprese hanno uno strumento in più per difendersi in questa fase economica così difficile. Ovviamente, tutto ciò non basta".

Nel report gli analisti della Cgia ritornano sullo stato di attuazione del pagamento dei debiti della pubblica amministrazione. Gli ultimi dati disponibili sul sito del ministero dell'Economia risalgono al 30 ottobre 2014 e segnalano che i debiti pagati dallo Stato e dagli enti locali ammontano a 32,5 miliardi di euro. Dal momento che nell'ultimo biennio sono stati messi a disposizione circa 56,3 miliardi di euro, l'incidenza dei pagamenti effettuati sul totale delle risorse stanziate è pari al 57,7%.

Peccato che lo stato di aggiornamento del sito sia però in forte ritardo: era prevista una nuova diffusione di dati per lo scorso 30 novembre, ma a distanza di un mese e mezzo non è stata ancora effettuata. Alla Cgia si chiedono: "Per quale ragione?".

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