L'Opec annacqua i prezzi del petrolio

I mercati volevano un calo più robusto: le quotazioni scivolano sotto i 50 dollari

L'Opec annacqua i prezzi del petrolio

L'Opec raschia il fondo del barile. Serviva un accordo forte, ieri in quel di Vienna, per rinvigorire i prezzi del petrolio: ne è uscita un'intesa che si limita a estendere di altri nove mesi (fino a marzo 2018) la riduzione di 1,8 milioni barili al giorno. Un appena percettibile allungamento temporale rispetto al precedente agreement di sei mesi, condito dallo stesso taglio della produzione e dalla confermata adesione della Russia e dei Paesi esterni al Cartello alla politica della morigeratezza estrattiva con un contributo di 600mila barili. Troppo poco, come dimostra l'immediata reazione dei mercati, dove il Wti è sceso sotto i 50 dollari, con una perdita secca di 1,75 dollari, e il Brent è arretrato a quota 52,22 dollari. A farne le spese anche le società oil di Piazza Affari: Eni è scesa dell'1,88%, mentre Saipem è scivolata di oltre tre punti percentuali.

I Signori del petrolio avrebbero dovuto far loro, rovesciandola, la massima sportiva secondo la quale «squadra che vince non si cambia». Un intero semestre non è invece bastato all'Opec per rendersi conto dell'inefficacia della strategia di contenimento dell'output e provare, quindi, a ricalibrarla. Impresa - va detto - non facile. Aver tenuto fuori dall'intesa nazioni come la Libia e la Nigeria ha di fatto parzialmente depotenziato sul nascere il taglio dell'offerta. Inoltre, è stato commesso un grave errore di sottovalutazione. Data per morta, l'industria Usa dello shale oil è viva e lotta per riprendersi un posto al sole sullo scacchiere energetico. Lì sì che si è fatto tesoro degli sbagli del passato: chiuso il periodo dello spese folle finanziate a suon di debiti, si è cominciato a badare molto alla cassa, a migliorare l'efficienza dei terreni per raggiungere il picco produttivo in 6-9 mesi e abbattere il punto di pareggio. Gli oltre 9,32 milioni di barili estratti ogni giorno sono un indice di ritrovata vitalità, soprattutto perché rappresentano il top da agosto 2015. Un fiume di oro nero estratto dalle sabbie bituminose tornato a essere competitivo, ai prezzi attuali.

Tra l'altro, che l'accordo siglato dall'Opec abbia il fiato corto lo dice senza troppi giri di parole il Fondo monetario internazionale: si tratta di una misura che «aiuta temporaneamente» i Paesi produttori con «un impatto limitato sul medio termine». Certo, visto l'eccesso di offerta presente sul mercato, sarebbe stato del tutto disastroso - con prezzi a rischio di finire sotto i 40 dollari, secondo alcune stime - l'impatto di una mancata estensione del patto di contenimento produttivo.

Ma questa ero lo scenario peggiore e francamente non ipotizzabile. Non mancavano invece, almeno sulla carta, spazi per scelte più coraggiose: il coinvolgimento di più Paesi nell'intesa e un taglio all'output più sostanzioso rispetto a quello di 1,8 milioni di barili confermato ieri.

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