Economia

Maxi-piano Ue per i chip. Ammessi gli aiuti di Stato

Partita da 43 miliardi, Bruxelles: "Raddoppiare la produzione per affrancarsi dal fattore Asia"

Maxi-piano Ue per i chip. Ammessi gli aiuti di Stato

A la guerre comme à la guerre. Bollata come un'eresia economica da Bruxelles, la pratica degli aiuti di Stato ritrova una sua legittimazione nell'European Chips Act, il piano destinato a mobilitare oltre 43 miliardi di euro per produrre semiconduttori. Ogni mezzo è lecito, dopo aver provato sulla pelle i danni inferti, quasi in ogni filiera produttiva, dalla penuria di questi pezzetti dal cuore di silicio. L'obiettivo è di quelli ambiziosi, poiché si punta a «raddoppiare la produzione di chip entro il 2030», come ha ricordato ieri la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen (nella foto). Lo scopo è quello di affrancare il Vecchio continente dalla dipendenza dall'Asia, un problema reso drammatico dai colli di bottiglia negli approvvigionamenti causati dal Covid .

Non essendo sufficienti i 30 miliardi già stanziati nel Next Generation, serviranno più stampelle per tagliare il traguardo. Così si sdoganano i sussidi pubblici, ma a condizioni precise: usare i soldi dei contribuenti sarà possibile solo se le risorse finanzieranno progetti innovativi (come le mega-fab) o se consentiranno alleanze. Non sanno permesse furbate: «Non va bene - ha ammonito la responsabile della Concorrenza Ue, Margrethe Vestager - che un governo cerchi di attirare investimenti sul suo territorio facendo promesse in termini di aiuti di Stato». Bruxelles intende inoltre far leva sul meccanismo di controllo delle esportazioni, già impiegato con i vaccini. Un Chips Fund faciliterà invece l'accesso ai finanziamenti per le start-up per aiutarle a maturare le loro innovazioni e attrarre investitori. A un organo di coordinamento tra Stati membri e Commissione sarà affidato il compito di monitorare l'offerta di semiconduttori, stimare la domanda e anticipare le carenze.

Bruxelles prepara la trincea anche perché è meno ottimista della Bce: «È improbabile che l'attuale carenza di chip si esaurisca prima del 2023 o addirittura del 2024. Poichè la domanda accelererà ulteriormente e le capacità di produzione richiederanno tempo per consolidarsi, il deficit continuerà e la pressione inflazionistica si intensificherà». È perciò vitale che il piano funzioni, anche se poggia solo su 15 miliardi freschi fino al 2030. Un po' pochi, se solo si pensa che la taiwanese Tsmc ha messo sul piatto 100 miliardi in tre anni. Sarà quindi cruciale il coinvolgimento di soggetti privati, a cominciare proprio dal colosso asiatico, da Intel, Infineon e Samsung, cui destinare parte delle risorse se decideranno di aprire mega-impianti sul suolo europeo. D'altra parte, come ha sintetizzato il responsabile dell'industria Thierry Breton, «senza chip, nessuna transizione digitale, nessuna transizione verde, nessuna leadership tecnologica».

Ancora più in breve: nessun futuro.

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