Microsoft ubbidisce: Huawei nella lista nera

Il colosso Usa non accetta più ordini dai cinesi Trump: «Intesa possibile, anche con Shenzen»

Satya Nadella, ad Microsoft
Satya Nadella, ad Microsoft

Come Google, anche Microsoft è pronta a chiudere la porta in faccia a Huawei. Un nuovo «obbedisco!» ai desiderata di Donald Trump, tradotto in pratica con lo stop imposto ai nuovi ordini del gigante delle telecomunicazioni di Shenzhen. La decisione non colpirà invece i pc già dotati di Windows e saranno ancora garantiti aggiornamenti e protezioni di sicurezza. Così almeno secondo il quotidiano South China Morning Post. Tace, per ora, il gruppo fondato da Bill Gates.

Se le indiscrezioni saranno confermate, si tratterà non solo di un ulteriore inasprimento dei rapporti fra Stati Uniti e Cina, ma anche del classico gessetto sulla lavagna che stride palesemente con l'ultimo tweet in cui il tycoon è tornato a parlare di «buone chance» di un'intesa con Pechino. Arrivando a ipotizzare «perfino l'inserimento di Huawei in un accordo commerciale».

Parole che sembrano far parte della classica retorica trumpiana, da usare quando c'è da dare una raddrizzata a Wall Street, in affanno giovedì scorso. Se l'intento era questo, stavolta The Donald ha mancato il bersaglio: a un'ora dalla chiusura, il Dow Jones era ieri invariato e il Nasdaq in anemico rialzo (+01,9%).

Insomma: per i mercati, l'inquilino della Casa Bianca sta bluffando. E, in effetti, non pochi indizi convergono esattamente in direzione opposta rispetto a un deal rapido e indolore. Oltre alla (presunta) adesione di Microsoft ai voleri presidenziali, ci sarebbe da mettere in lista anche l'opzione del dipartimento al Commercio Usa, già finita sulla scrivania di Trump, di imporre dazi punitivi contro le nazioni che svalutano la loro valuta per avvantaggiarsi sui rispettivi partner commerciali. Un altro modo per colpire il Dragone, usando lo yuan come alibi. Si tratterebbe di altra benzina gettata sul fuoco di rapporti incandescenti, e talmente incrinati da impedire persino di fissare una data per la ripresa dei negoziati.

Le bocce non sono però ferme. Anzi. La Cina, ogni giorno, risponde colpo su colpo. Dopo che il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, aveva accusato Huawei di collaborazionismo con Pechino, ieri il portavoce del ministero degli Affari Esteri cinese, Lu Kang, ha così replicato: «Questi responsabili politici continuano a montare menzogne di ogni tipo per ingannare gli americani senza produrre prove». E mentre nell'ex Celeste Impero si moltiplicano le iniziative di boicottaggio verso i prodotti made in Usa, va registrata la prima diserzione dalle fila di Wall Street: Smic, il più grande produttore cinese di semiconduttori, ha chiesto il delisting dal New York Stock Exchange.

Decisione ufficialmente motivata coi bassi volumi di negoziazione dei suoi Adr e coi costi di mantenimento della quotazione, ma su cui avrà sicuramente pesato il braccio di ferro Usa-Cina. Se l'iniziativa verrà imitata da altre aziende cinesi, e in particolare da colossi come Alibaba, lo strappo sarà davvero difficile da ricucire.

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