
Rischiava di essere la settimana del fallout ribassista, della pioggia di vendite altamente radioattiva innescata dall'esplosione del governo. Invece, è andata così: in cinque sedute, Piazza Affari ha sfiorato un rialzo del 3,8%, nonostante l'inciampo di lunedì, quando Enrico Letta sembrava ormai al capolinea. E con il progresso dell'1,6% messo a segno ieri, l'indice Ftse-Mib si è arrampicato fino a un nuovo massimo dal 2011, a quota 18.304.
La fiducia nei confronti dell'esecutivo sembra aver spazzato via le nuvole di incertezza che pesavano sul listino, e reso più fattibili - almeno sulla carta - quelle riforme strutturali di cui il Paese ha bisogno per riprendere il cammino della crescita. Ciò agisce, in senso benefico, su un duplice versante: su quello azionario, e su quello dello spread. Il differenziale Btp-Bund si è sgonfiato fino a scendere sotto i 250 punti, una cinquantina in meno rispetto al picco toccato a inizio settimana. Un sollievo per il Tesoro, in vista delle prossime emissioni, ma non solo. L'effetto è anche quello di rinsaldare la ripresa dei titoli bancari (+3% l'indice settoriale, con le popolari in volo), i più sensibili alle oscillazioni degli spread a causa dei circa 300 miliardi di euro di bond italiani tenuti in pancia. È una corsa peraltro alimentata pure dalle recenti parole di Mario Draghi sul probabile lancio di una terza Ltro, destinata a fornire liquidità a basso costo al sistema creditizio.
Per il momento, resta profonda la divaricazione tra il vigore borsistico e lo stato di profonda sofferenza in cui versa l'economia reale, come testimoniato anche dagli ultimi dati Istat sulla perdita di potere d'acquisto da parte delle famiglie. L'Italia deve ancora agganciare la recovery, ma i mercati guardano per il momento altrove. Senza apparire troppo preoccupati dalla prosecuzione dello shutdown Usa, causato dal braccio di ferro tra democratici e repubblicani sul budget federale, che ieri ha impedito la diffusione dei dati sulla disoccupazione. Molti altri indicatori slitteranno, lasciando la Federal Reserve al buio in un momento decisivo per decidere quando avviare il tapering, il rallentamento degli acquisti di asset. E il 17 ottobre rischia di arrivare al pettine il nodo dell'innalzamento del tetto del debito, che se non sarà sciolto porterà l'America dritta al default. Gli investitori sperano però in un compromesso tra i due rami del Congresso Usa.
Questo «pensare positivo» da parte dei mercati sta agevolando il riposizionamento degli investimenti non solo sull'Italia, ma anche sugli altri Paesi periferici europei. Ieri Madrid ha incassato un +1,12%, Lisbona è salita dello 0,52% e Atene di ben il 3,3%. Secondo gli analisti, è probabile che lo spostamento di capitali verso i Pigs, soprattutto da parte degli investitori istituzionali, sia riconducibile al fatto che le quotazioni restano poco care se raffrontate con altre aree e soprattutto con quelle statunitensi, protagoniste di una vera e propria corsa. C'è poi da considerare una ragione più squisitamente politica, secondo Martin Skanberg, della società di gestione inglese Schroders: «Archiviate le elezioni tedesche, non si segnalano grandi eventi analoghi fino al 2017, il che dovrebbe fornire il tempo necessario per i Paesi leader per concentrarsi sui temi come l'unione fiscale». Inoltre, aggiunge Skanberg, «le valutazioni a sconto - sono un riflesso di come siano stati depressi gli utili.