Era già stato previsto ma non è stato fatto abbastanza per evitare che le pensioni fossero più basse a causa dei montanti contributivi negativi maturati con l'Inps negli ultimi cinque anni del Pil italiano.
Quale meccanismo scatta
La situazione attuale è la seguente: se è vero che c'è un meccanismo che "porta a zero la rivalutazione negativa" (come si legge sul Sole24Ore), il primo coefficiente positivo subirà una riduzione dello 0,0215% secondo le previsioni dell'anno in corso. Se non verrà messa mano alle attuali normative, quello che sarà l'impatto finale non lo possiamo conoscere e dipenderà dalla ripresa che avverrà a partire da quest'anno e per i prossimi: o sarà "sostenuta" o questo coefficiente potrebbe essere ancora più verso il basso. Come ci siamo occupati di recente, una nota dell'Istat ha fatto sapere che "Il tasso medio annuo composto di variazione del prodotto interno lordo nominale, nei cinque anni precedenti il 2021, risulta pari a -0,000215 e, pertanto, il coefficiente di rivalutazione è pari a 0,999785. Si sottolinea che il coefficiente di rivalutazione risulta inferiore all’unità, a causa della dinamica negativa del PIL nominale nel periodo considerato".
Il precedente
L'Italia, ahinoi, non è nuova a situazioni del genere: già nel 2014, infatti, l'indice di rivalutazione dei montanti era risultato negativo costringendo il governo ad intervenire con il decreto legge 65/2015 che stabiliva, comunque, che anche in presenza di tasso negativo questo non poteva essere inferiore ad 1 venendo poi recuperato nelle successive rivalutazioni. Secondo quanto previsto dall'articolo 5 comma 1 del DL numero 65 del 2015, a quel punto, scatta la clausola di salvaguardia che fa salire il valore all’unità.
Cosa bisogna temere
I problemi principali legati al coefficiente negativo che abbassa il valore netto delle pensioni sono due: il primo è legato alla prestazione finale che l'Ente riuscirà a garantire. Per adesso, le proiezioni pensionistiche vedono un aumento del Pil annuo dell'1,5%, molto lontanto da quei valori registrati negli ultimi anni. In questa maniera, con tassi più contenuti, i "numeri" pensionistici saranno più bassi del previsto e potrebbero risultare non in linea con quanto si aspettano i lavoratori. Un altro campanello d'allarme, poi, riguarda la sostenibilità del sistema: il finanziamento che è in uso in questo momento è sulla ripartizione ma il metodo contributivo non dà affatto affidamento affinché ci sia un "equilibrio finanziario futuro".
Così si sono ridotte le entrate
Secondo i dati contenuti dall'Inps nel "XX rapporto annuale", le entrate contributive dell'Ente si sono ridotte in modo drastico: dai meno 236 miliardi di euro per il 2019 ai circa 225 miliardi del 2020 con un aumento delle prestazioni, però, del 2,5%. "La spesa pubblica per pensioni ha quindi raggiunto un livello tra il 16 e il 17% del Pil, ben superiore alla media dei Paesi dell'Unione europea e i trasferimenti pubblici all'Inps, in un contesto del genere, si sono incrementati di circa 30 miliardi di euro".
Come ha dichiarato un'esperta al Giornale.it, "Nel 2021 le pensioni non sono state rivalutate perché l’inflazione prevista in via provvisoria per il 2020 era negativa. Nel 2022, si presume, salirà anche perché il tasso del costo della vita sarà al 1,5%. La quantificazione dell’aumento come rivalutazione dipende dal metodo che il governo deciderà di seguire per la perequazione".- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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