Il petrolio manda le Borse al tappeto

Il prezzo del barile crolla sotto i 35 dollari: Milano perde l'1,84%, Europa ai minimi da due mesi. Wall Street a picco

I prezzi del petrolio in caduta libera rischiano di essere lo scomodo convitato di pietra nella cruciale riunione di giovedì prossimo della Federal Reserve, chiamata a decidere se alzare i tassi per la prima volta dal 2006. Per ora, il greggio è la palla al piede dei mercati, lo spauracchio affossa-indici, così come la scorsa settimana lo erano state le misure inferiori alle attese decise da Mario Draghi. È bastata una picchiata del barile sotto i 35 dollari ieri a New York, il livello minimo da sette anni, per scatenare un'ondata di vendite che ha affondato i listini. A Milano, il Ftse Mib ha salvato per il rotto della cuffia quota 22mila punti, dovendo però sopportare un ribasso dell'1,84% che ha ridotto al 10% la performance da inizio anno. Non se la sono passata meglio le altre piazze europee, tornate ai valori di ottobre dopo le ultime, robuste flessioni comprese tra l'1,5% di Madrid e il 2,4% di Francoforte, mentre va a picco anche Wall Street: il Dow Jones perde 300 punti, il Dj cede l'1,77%, il Nasdaq il 2,21% e l'indice S&P500 l'1,94%. E qualche preoccupazione alla Bce, per le implicazioni deflazionistiche che comporta, l'ha riservata l'arrampicata dell'euro fin sopra gli 1,10 dollari.Insomma, una generalizzata turbolenza che non lascia presagire nulla di buono per quest'ultima parte dell'anno. Soprattutto se il principale driver del mercato resterà il cheap oil, la miglior cartina di tornasole della frenata delle economie emergenti, Cina in testa. Un riequilibrio tra domanda e offerta, oggi palesemente in eccesso, è improbabile. L'Opec tornerà a riunirsi solo nel giugno dell'anno prossimo, dopo aver lasciato nei giorni scorsi ancora invariati i tetti produttivi, peraltro mai rispettati (31,6 milioni di barili al giorno estratti in novembre, oltre 1,5 in più dell'output ufficiale). La conferma autorevole è arrivata ieri dall'Agenzia internazionale dell'energia: il surplus di greggio a livello globale continuerà anche nel 2016 con il calo della domanda, mentre il Cartello resta «determinato» a massimizzare la produzione. Inoltre, le scorte aumenteranno ulteriormente, probabilmente di 300 milioni di barili, quando l'Iran riprenderà la produzione dopo la fine delle sanzioni. Un quadro che indica verosimilmente un ulteriore avvitamento delle quotazioni, con ripercussioni sui margini di profitto delle major petrolifere. E prima di vedere una ripresa significativa dei corsi, occorreranno anni: secondo l'Aie, il barile tornerà a 80 dollari solo nel 2020. Prezzi così bassi rischiano di essere una spina nel fianco per la Fed: vanno infatti considerati gli effetti secondari sull'inflazione, come per esempio un possibile ribasso dei prezzi sui beni di consumo. I mercati sono ormai da qualche settimana posizionati sull'idea che la settimana prossima Janet Yellen alzerà il costo del denaro. Sorprese, tipo quella riservata da Draghi col mini-riaggiustamento del Qe, non vengono messe in conto, anche se Unicredit invita a non escludere un rialzo superiore al quarto di punto.

L'incognita è semmai legata alle motivazioni che accompagneranno la stretta e se il successore di Ben Bernanke svelerà il «ruolino di marcia» dei futuri giri di vite. Ma sarà anche importante verificare se la banca centrale Usa farà ancora riferimento alle instabilità esogene, cioè quelle che derivano dagli squilibri delle economie emergenti. E dal petrolio.

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