Nella sua spola quotidiana tra l'ufficio di Auburn Hills e la bella casa circondata dal verde di Oakland, poco fuori Detroit, Sergio Marchionne ha trascorso buona parte di questo torrido agosto a rivedere punto su punto il piano industriale della Fiat. La fine di ottobre non è poi così lontana, e per il 30 di quel mese, quando il consiglio di amministrazione dovrà approvare i conti del terzo trimestre, l'amministratore delegato del Lingotto dovrà aver risistemato tutti i tasselli del mosaico industriale del gruppo automobilistico, investimenti compresi.
Non è ancora ben chiaro se Marchionne affiderà solo a un dettagliato comunicato e alle slide le novità riguardanti il sistema produttivo italiano ed europeo, o se opterà per una presentazione più istituzionale. Di certo, alla fine di ottobre governo, sindacati, lavoratori e comunità finanziaria potranno toccare con mano come la crisi dei mercati e dell'Eurozona (senza dimenticare il braccio di ferro ancora in corso con la Fiom) hanno finito per incidere sul progetto «Fabbrica Italia».
Già al Salone dell'auto di Parigi, a cavallo tra settembre e ottobre, si comincerà comunque a capire in quale direzione si muoverà il gruppo Fiat-Chrysler nei prossimi anni. E, soprattutto, se la crisi costringerà la Fiat a rinunciare a un secondo impianto in Italia.
La terapia per cercare di salvare il sistema auto del Paese, impedendo nuove scelte traumatiche e l'acuirsi di tensioni sociali, ha due nomi: Mazda ed esportazione.
Nel primo caso le frequenti visite di tecnici giapponesi a Pomigliano d'Arco, in questo momento il miglior stabilimento in Europa, potrebbero convincere il manegement di Hiroshima di fare della Campania il loro hub produttivo europeo. Sotto osservazione, però, sono anche le altre fabbriche del gruppo, dove lo spazio per ospitare nuove linee di assemblaggio, sul modello polacco di Tychy (Fiat 500-Ford Ka) non manca. Ma c'è chi mette in conto anche la possibile vendita tout court di un sito a un rivale (Volkswagen? qualche produttore asiatico?), accontentando così (la Cgil) chi chiede da tempo il toccasana di una vera concorrenza interna. Ma la carta più importante, quella che, nelle intenzioni, rivitalizzerebbe il «sistema» si chiama esportazione.
L'Italia, in pratica, si trasformerebbe nella base europea degli Stati Uniti, dove gli impianti della Chrysler sono alla saturazione. Al di là dei Suv compatti che dovrebbero nascere a Mirafiori, gli stabilimenti servirebbero ad andare incontro alla domanda proveniente da Oltreoceano. Dovrebbe essere questo uno dei passaggi principali del piano industriale rivisitato sul tavolo di Marchionne. E dalla sua fattibilità (e accoglienza da parte delle organizzazioni sindacali), a questo proposito, dipenderanno anche gli investimenti. Ieri, intanto, Radiocor ha rilanciato un'indiscrezione secondo cui la pessima situazione del mercato dell'auto in Italia e in Europa potrebbe spingere il Lingotto a rinviare, al 2015, la produzione della nuova Fiat Punto. Si tratterebbe di un nuovo slittamento, visto che già c'era stato uno spostamento al 2014. La stessa agenzia ipotizza l'accorpamento in un altro sito delle produzioni di Cassino (Alfa Giulietta e Lancia Delta), che a questo punto resterebbe pericolosamente scoperto, salvo interventi dall'esterno.
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