Putin agli Usa: "Huawei non si tocca"

Russia contro «il tentativo di scacciare dal mercato il colosso tlc». Dollaro nel mirino

Putin agli Usa: "Huawei non si tocca"

«Giù le mani da Huawei». Arriva da un altro peso massimo come Vladimir Putin il nuovo altolà a Donald Trump, colpevole di aver messo il colosso cinese delle tlc nella lista nera commerciale Usa. Il presidente russo sceglie il giorno dell'incontro a San Pietroburgo con il leader dell'ex Impero Celeste, Xi Jingping, per compiere una scelta di campo netta e inequivocabile. E con implicazioni delicatissime sotto il profilo dei rapporti con Washington. Per Mosca non sembra, però, tempo di usare le tattiche felpate della diplomazia. E così, lo zar Vlad va giù duro, attaccando l'America anche sul fronte valutario, visto che il dollaro «si è trasformato in uno strumento di pressione da parte del Paese di emissione sul resto del mondo». E, dunque, le organizzazioni internazionali si mobilitino per «ripensare il ruolo» del biglietto verde. Un attacco in piena regola che punta, però, soprattutto a far capire agli Usa come la Russia non intenda assecondare «i tentativi di scacciare Huawei senza troppe cerimonie dai mercati internazionali. Lo chiamiamo già, in alcuni ambienti, la prima guerra tecnologica dell'era digitale che inizia», ha detto Putin.

Insomma: il leader russo sposta l'asse del conflitto dall'ambito della semplice trade war scatenata dagli squilibri di import ed export, a quello della lotta per la supremazia nell'high-tech, dove Huawei recita un ruolo centrale grazie al 5G. Il rischio per Trump di trovarsi isolato è molto alto. Anche perché oltre al fronte di battaglia aperto con la Cina, in parte con l'Europa e con il Messico (da lunedì scatteranno tariffe del 5% sui beni esportati verso gli Usa), perfino l'Arabia Saudita pare voler girare le spalle all'alleato storico: il colosso petrolifero Aramco investirà in Russia, cementando quindi l'alleanza fra due dei Paesi che fanno parte del cosiddetto Opec+.

L'entrata a gamba tesa di Putin arriva, inoltre, in un momento in cui negli Stati Uniti stanno venendo al pettine i nodi legati ai dazi. Il mercato del lavoro ha generato in maggio appena 75mila posti, una miseria rispetto ai 180mila attesi. Un dato molto deludente, al punto che ora ora le probabilità di un taglio dei tassi da parte della Federal Reserve sono salite al 30,8% per la riunione della prossima settimana e schizzate al 57% per quella di fine luglio. Se così sarà, il leader della Fed Jerome Powell - che con Trump ha avuto un colloquio telefonico con Trump l'11 aprile, cioè pochi giorni prima dell'ultima riunione - , avrà tutto il tempo per incasellare un'altra riduzione, probabilmente a settembre. E soddisfare The Donald, tornato ieri alla carica: «Se i tassi fossero più bassi, il Dow Jones sarebbe 10mila punti più alto».

Se Eccles Building ha le sue gatte da pelare, anche la Bce non se la passa bene. Soprattutto dopo la certificazione del passo arrancante della Germania. La Bundesbank prevede ora una crescita 2019 solo dello 0,6%, contro il +1,6% della stima precedente.

La produzione industriale è inoltre calata in aprile dell'1,9% (+0,5% in marzo), e l'avanzo della bilancia commerciale si è ridotto a 17 miliardi di euro, mentre le esportazioni sono scese del 3,7% e l'import dell'1,3%. La guerra dei dazi pesa su Berlino. E potrebbe indurre l'Eurotower, ora possibilista su un riavvio del quantitative easing, a muoversi in anticipo rispetto al previsto.

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