Vincent Bolloré vale 6,5 miliardi circa nel sistema finanziario italiano e ha legami potenti, consolidati nel corso degli ultimi vent'anni, che passano da Mediobanca e arrivano fino a Trieste. Le cronache finanziarie raccontano che il primo a parlare del raider bretone, sbarcato in Mediobanca nel 2002 attraverso la sponda di Lazard, come di «una figura che conta nel sistema» sia stato Cesare Geronzi nel 2010, all'epoca della sfortunata alleanza con Salvatore Ligresti in Premafin, di cui Bolloré aveva acquisito il 5% (operazione poi sanzionata da Consob).
Quindici anni dopo il 28,8% di Mediaset (pari al 29,9% dei diritti di voto), frutto della scalata ostile dello scorso dicembre effettuata tramite Vivendi (controllata da Bolloré con il 14,3%) e su cui si è acceso il faro della Procura di Milano, è solo una delle province dell'impero tricolore del finanziere che, sempre attraverso il gruppo media, controlla Telecom Italia (24,9%) e, tramite la finanziaria di famiglia, ha una partecipazione dell'8% in Mediobanca.
La seconda partecipazione in Piazzetta Cuccia, proprio alle spalle della quota detenuta nella merchant bank da Unicredit, vuol dire anche una presa solida su Generali (di cui Mediobanca è azionista di riferimento) e di cui il raider bretone ha occupato, fino a ottobre 2013, la poltrona di vicepresidente.
E da qualche tempo la stretta di Bolloré sul gruppo triestino solleva più di un punto interrogativo: sono in molti infatti a ipotizzare che la stretta del manager francese sul Leone abbia come fino ultimo quello di portare Generali verso Parigi. A sostegno di simili ipotesi sono stati portati il legame di Bolloré con Claude Bébéar, fondatore di Axa, e l'ascesa a Trieste Philippe Donnet. Ma Axa ha negato di nutrire un interesse per Generali.
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