Rcs si trova di fronte a un bivio: o fa cassa uscendo dal business dei libri vendendo anche altri asset non strategici come le radio di Finelco, oppure sarà costretta a fare un aumento di capitale. E al momento - tranne Urbano Cairo convinto da sempre che prima di parlare di rilancio e di vendere asset importanti per coprire le perdite, la Rizzoli vada risanata - né il socio di maggioranza Fca, né altri azionisti come Diego Della Valle hanno intenzione di rimettere mano al portafoglio.
In questa fase complicata, su cui sono bene accesi anche i riflettori delle banche creditrici, si sarebbe creata una frattura nel consiglio di amministrazione fra il presidente Maurizio Costa e l'amministratore delegato, Pietro Scott Jovane. Secondo le indiscrezioni raccolte ieri dall'agenzia Reuters e confermate da una fonte a Il Giornale , i due manager avrebbero opinioni diverse su come calare nella pratica le linee guida del nuovo piano industriale. E in particolare su come rendere sostenibili finanziariamente le strategie sullo sviluppo del business sportivo e su quello delle news. Che, tradotto in termini di risparmi aziendali, significa anche chiedersi: dove tagliare di più, alla Gazzetta o al Corriere? Oggi il confronto potrebbe tenere banco alla riunione, definita «di routine», del consiglio di amministrazione in attesa di quello fissato per il 30 luglio, che avrà all'ordine del giorno i risultati preliminari del semestre e un aggiornamento sulla trattativa con Mondadori (che tra l'altro è azionista di questo giornale) per la Libri. Su cui ci sarebbe invece assoluta unanimità. Anche perché l'alternativa inevitabile sarebbe un nuovo aumento di capitale fino a 200 milioni di euro dopo la prima tranche da 410 milioni nel 2013. Il nodo resta la valutazione di Rcs Libri che nel bilancio della capogruppo è in carico a 180 milioni ma valutata da broker e analisti attorno ai 130-135 milioni.
Non solo. Se la cessione dei Libri potrà portare nuove risorse nelle casse di Rcs, non appare scontato che queste siano in grado di coprire il fabbisogno del gruppo. L'ad Jovane ha sempre escluso la necessità di dover ricorrere a nuove iniezioni di liquidità da parte dei soci e ha indicato come strada prioritaria per reperire risorse il taglio dei costi e le dismissioni degli asset non strategici. Sullo sfondo resta il debito di 482,5 milioni (al 2014) e una posizione finanziaria netta che al 30 marzo 2015 è peggiorata a -507,5 milioni. Il contratto di finanziamento con le banche prevede che per fine 2015 la posizione finanziaria netta debba essere minore o uguale a 440 milioni.
Ci sono poi due cosiddetti « trigger events » da verificare al 30 settembre che farebbero scattare l'obbligo di ricapitalizzare in tempo utile per consentire la sottoscrizione entro il 31 marzo 2016: un rapporto superiore a 4,5 volte tra posizione finanziaria netta e ebitda, e proventi effettivamente incassati da cessioni inferiori a 250 milioni.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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