La recessione spaventa Berlino. E Trump vuole tassi giù dell'1%

La Germania studia un piano di stimoli all'economia da 50 miliardi. Giovedì l'incontro a Jackson Hole tra Fed e Bce

La recessione spaventa Berlino. E Trump vuole tassi giù dell'1%

Sul ponte sventola bandiera bianca. Anche la corazzata Germania imbarca acqua e si prepara a tappare le falle aperte nello scafo. Fuor di metafora, Berlino sta per incrociare la recessione. Quella tecnica, prodotta dalla somma di due trimestri consecutivi di contrazione del Pil, sarà un fatto conclamato alla fine del terzo trimestre. Negli Usa, invece, l'appuntamento con la crisi è fissato per il 2021: così prevede il 34% di economisti interpellati dalla National association for business economics (Nabe). Per Donald Trump, troppe Cassandre a piede libero. Va quindi corretto il tiro, e in fretta. Così, intinto il tweet nel veleno, il tycoon ha alzato ieri la posta con la Fed, dalla quale ora pretende un taglio dei tassi in tempi «relativamente brevi» e di «almeno 100 punti base, con forse anche un po' di quantitative easing».

Mentre The Donald accelera nella sua opera di «stalkeraggio» nei confronti di Jerome Powell, la Germania frena. La Bundesbank non ha lasciato ieri nessuna speranza: il colpo di coda capace di rimettere in bolla l'economia non ci sarà. «La congiuntura tedesca rimane debole nell'estate del 2019» avvisa il bollettino della banca centrale, secondo cui «anche nell'attuale trimestre l'attività economica potrebbe ridursi leggermente», dal momento che «la fine del rallentamento non è ancora in vista».

Dopo la crescita negativa dello 0,1% accusata nel secondo trimestre, tutti i più recenti indicatori (dal calo dell'1,5% della produzione industriale in giugno, alla discesa in luglio sui livelli minimi da sette anni della fiducia delle imprese) segnalavano una debolezza crescente indotta soprattutto dalla guerra commerciale fra Stati Uniti e Cina e dalle incognite legate alla Brexit. Due macigni finiti negli ingranaggi di un Paese incapace di superare i limiti della politica mercantilista. Insomma: se si grippa il motore del manifatturiero, è subito sofferenza. Al punto da mettere in discussione il caposaldo dello schwarze null, quello «zero nero» che si è tradotto negli anni in un accumulo ipertrofico di surplus di bilancio in totale spregio al tetto comunitario, pari al 6% del Pil, e quindi nell'assenza di quegli investimenti necessari per cambiare pelle a un tessuto produttivo di epoca imperiale e al superato sistema infrastrutturale e scolastico.

Adesso, seppur a denti stretti, Berlino è costretta dalla congiuntura a rimandare il proposito di schiacciare ancor più l'indebitamento pubblico sotto la soglia del 60%.

Il ministro delle Finanze, Olaf Scholz (foto), è pronto a infiocchettare un pacchetto di stimoli del valore di 50 miliardi di euro, con all'interno incentivi per migliorare l'efficienza energetica delle case, promuovere le assunzioni a breve termine e aumentare le entrate facendo leva su un più diffuso benessere sociale.

L'allargamento dei cordoni della borsa potrà però avvenire solo a recessione in corso: se l'economia è in crescita, la Costituzione tedesca limita infatti allo 0,35% del Pil l'aumento del debito. La Borsa di Francoforte, in rialzo ieri dell'1,32% in sincrono con la risalita dei rendimenti del Bund a 30 anni, non sembra tuttavia preoccupata dalla tempistica. Basterà aspettare la fine di settembre, quando - tra l'altro - la Bce potrebbe aver già varato il nuovo round di quantitative easing e tagliato i tassi. Indicazioni in tal senso sono attese da Mario Draghi nel simposio dei banchieri centrali che si aprirà giovedì prossimo a Jackson Hole. Ma gli occhi saranno puntati soprattutto su Powell.

Se lascerà trapelare la possibilità di un calo di mezzo punto del costo del denaro il mese prossimo (già ci scommette Wall Street, su dell'1,20% ieri a un'ora dalla chiusura), sarà la prova che Trump ha vinto. E che anche sulla Fed sventola bandiera bianca.

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