La mancata fusione con Fca ha tenuto banco, come era immaginabile, all'assemblea degli azionisti di Renault che si è svolta ieri a Parigi. Dal dibattito sono emerse divisioni tra il vertice della Casa francese e il ministro dell'Economia, Bruno Le Maire, ma anche tra quest'ultimo e l'Eliseo. Con oltre il 90% dei voti è stato confermato alla presidenza Jean-Dominique Senard il quale, nel suo intervento, ha ribadito gli effetti positivi che l'accordo con Fca avrebbe portato («Ho raramente visto un principio di fusione che poteva portare sinergie così forti»), per poi tirare in ballo il ministro Le Maire che, prima ha suggerito ai vertici di Renault di parlare con il Lingotto, quindi ha fatto in modo che il presidente di Fca, John Elkann, ritirasse l'offerta di matrimonio. «I rappresentanti dello Stato - si è sfogato Senard - non hanno condiviso le analisi fatte e l'accordo non ha potuto avere luogo, cosa che personalmente mi delude». Il presidente del gruppo d'Oltralpe ha quindi sbugiardato sempre Le Maire rispetto alle accuse rivolte a Nissan, rea, secondo il ministro, di aver messo i paletti decisivi alle nozze. «Gli amministratori di Nissan presenti nel cda - la spiegazione del presidente - hanno preferito astenersi, ma molto positivamente», aprendo le porte al progetto. Fatta la frittata, Le Maire ha cercato di recuperare, descrivendo le nozze con Fca «una buona opportunità». Insomma, un grande pasticcio, avvalorato anche dalla decisione di Emmanuel Macron di non ricevere il presidente di Renault; fonti vicine alle parti hanno minimizzato riferendo che i due sono in contatto costante. Ma c'è anche chi sostiene che intenzione di Macron sarebbe quella di innalzare il livello di scontro tra Senard e Le Maire. Il ministro, in pratica, sarebbe sotto scacco da parte dei sindacati francesi che temono chiusure di impianti e perdite di posti di lavoro negli anni successivi all'unione con Fca.
A Parigi, dunque, regna il caos totale e Senard - che al momento della sua investitura ha dovuto trovare il modo di far voltare pagina al gruppo dopo lo scandalo che ha coinvolto il suo predecessore Carlos Ghosn, ma anche di gestire i delicati equilibri con il combattivo alleato Nissan - si è tolto la soddisfazione di spiattellare le sue verità, rialzando la testa.
Sulla possibile ripresa del dialogo con il Lingotto, il top manager francese ha risposto «mai dire mai», ma ha anche precisato che «questo progetto al momento non esiste più», anche se nella vicenda «le questioni culturali erano facili e mi sembra che il legame era naturale come il grande lavoro dei nostri team ha dimostrato».
Anche ieri da Fca nessun commento. Lo stato maggiore italo-americano ha assistito da spettatore all'inizio di quella che sembra profilarsi come una resa dei conti soprattutto politica. L'impressione, fatta salvo la decisione di mantenere il ritiro della proposta di fusione, è che in Fca si attenderebbe una mossa del governo francese che vada oltre i reiterati inviti di questi giorni a riaprire il dialogo. In pratica, che l'Eliseo prenda atto che la sua quota nella ipotetica nuova società dovrà contare per quello che è, e non valere come se fosse oltre il 50%. In tal caso, le azioni si conterebbero e non peserebbero. Il timore di Senard (ma non è il solo) si chiama industria cinese dell'auto.
«Stanno crescendo - ha avvertito - e i costruttori si stanno moltiplicando; è un'industria innovativa e di buona qualità. Siamo di fronte alla nascita di un fenomeno che per l'industria delle nostre aree sarà una sorta di tsunami».
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