Non si ferma l'offensiva della Cina nei confronti dei bitcoin. Con quella che ha ormai tutta l'aria di essere di una manovra a tenaglia tesa a strangolare l'universo delle monete virtuali, Pechino si prepara a vietarne il trading centralizzato, cioè a impedire gli scambi che si poggiano su piattaforme tipo Coinbase. Ancora nulla di ufficiale, ma solo un'intenzione manifestata dal vice governatore della People's Bank of China in una memo inviata agli organi di controllo. Solo un promemoria, rivelato ieri dalla Reuters, eppure pesante come un maglio per le quotazioni delle cripto-valute. A farne le spese è stata soprattutto Bitcoin, scivolata sotto quota 12mila dollari per la prima volta dal 22 dicembre scorso, con un calo del 13% rispetto a lunedì; dal record toccato a metà dello scorso mese, la perdita di valore è inoltre attorno al 40% rispetto. In sofferenza anche Ethereum (-20%) e Ripple (-26%).
Insomma, una picchiata generalizzata dei prezzi strettamente correlata al nuovo giro di vite che l'ex Celeste Impero si appresta a dare alle monete virtuali. Già all'inizio di settembre il governo cinese aveva imposto lo stop alle Ico (Initial coin offering), lo strumento finanziario utilizzato per raccogliere fondi destinati al lancio di cripto-valute; poi era stata la volta del divieto imposto ai cittadini di effettuare transazioni in bitcoin sulle piattaforme cinesi. Pechino ha inoltre esercitato una forte azione di moral suasion (aumento delle tariffe elettriche unito a normative ambientali più stringenti) per indurre le imprese ad abbandonare il mining, l'attività di estrazione di monete elettroniche attraverso la rete. Una pratica fortemente energivora che in Cina, dove si utilizzano i due terzi di tutta l'elettricità utilizzata nel mondo per le operazioni di mining (in un anno i consumi equivalgono a quelli dell'intero Peru), ha creato non pochi problemi di inquinamento, essendo l'energia consumata proveniente da fonti fossili.
Non è però solo l'impatto ecologico dei bitcoin a preoccupare le autorità cinesi. Spaventa di più l'impossibilità di controllare gli scambi tra privati e in particolare quelli compiuti nell'ambito di attività criminali, ad esempio per evadere le tasse locali o per riciclare denaro sporco. Un problema comune che ha portato la Corea del Sud, dove circola un quinto circa delle valute virtuali, a ventilare la possibilità di impedirne la negoziazione.
«Sembra che il cappio delle autorità di regolamentazione si stia stringendo. Prima o poi il bitcoin dovrà fare i conti con una stretta regolatoria», ha affermato Neil Wilson, analista di Etx Capital.
In Europa la Francia sembra proprio voler seguire questa strada con l'istituzione di una commissione ad hoc, per arginare «i rischi delle speculazioni, legate in particolare ai bitcoin», ha annunciato il ministro dell'Economia Bruno Le Maire.
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