La Svizzera "si veste" da hedge fund

La sua banca centrale ha in pancia 746 miliardi di azioni e bond esteri. Più del Pil

La Svizzera "si veste" da hedge fund

La Swiss National Bank (Snb) è la Bce dei 27 cantoni elvetici, ma resta un unicum nel panorama delle banche centrali. Dallo sganciamento, due anni fa, del franco svizzero dall'euro, la politica monetaria è tesa a evitare un eccessivo apprezzamento della valuta nazionale, mortale per una nazione che ha l'export nel dna. L'obiettivo viene perseguito arroventando le rotative che stampano i franchi, poi utilizzati per uno shopping sfrenato sui mercati mondiali.

Appena pubblicato, il bilancio 2016 dell'istituto risulta così un perfetto prontuario strategico, il condensato del modus operandi di una banca assai simile a un hedge fund. La neutralità svizzera, l'equidistanza dalle discese ardite e dalle risalite dei mercati, qui non è di casa. A cominciare da come la Snb opera sul mercato dei cambi, dove sono stati spesi 67 miliardi di franchi (circa 72 miliardi di euro) per comprare valute straniere e mantenere artificialmente sotto controllo la probabile ipertrofia della moneta nazionale. La stessa logica, ma con ben altre proporzioni, viene applicata sugli investimenti in asset internazionali, pari a 696 miliardi di franchi, l'equivalente di 746 miliardi di euro. Si tratta di una cifra di appena 50 miliardi inferiore al totale dell'attivo (746 miliardi), ma soprattutto più elevata del Pil della Confederazione, fermo a 647 miliardi. Insomma: la Svizzera è l'unico Paese al mondo a detenere attività non domestiche superiori alla ricchezza nazionale.

Già lo scorso anno il vizietto borsistico era emerso in tutto evidenza quando l'istituto di Berna aveva comunicato che nel suo portafoglio c'erano 15 milioni di titoli Apple e che le azioni rappresentavano il 20% del totale degli investimenti esteri, con una particolare predilezione per le big corporation Usa quotate a Wall Street come Coca-Cola, General Electric, Microsoft, Verizon, Johnson&Johnson e Facebook. Un mix tra old e new economy che tuttavia, a causa della forte volatilità dei mercati nel 2015, non aveva evitato perdite per 19,4 miliardi, il rosso più rosso dalla fondazione (anno di grazia 1907). Alla fine dello scorso anno, periodo florido per i mercati azionari, la situazione si è rovesciata: l'estero ha garantito 19,3 miliardi di utili, di cui 8,6 miliardi derivanti dalle plusvalenze su titoli azionari, tre miliardi incassati sotto forma di dividendi e 8,3 miliardi guadagnati grazie agli interessi su bond sovrani e societari.

Del resto, il rischio a volte paga.

Anche se lo scorso anno è stato l'oro a garantire il maggior ritorno sugli investimenti (+6,4%), dal 2009 in poi la Snb ha progressivamente ridotto i lingotti nei suoi caveau a favore delle azioni, che rappresentano appunto il 20% del totale delle sue riserve in valute straniere, con una resa che dal 2005 è stata del 2,8% contro lo 0,7% dei bond. Un'attrazione irresistibile che però concorre a inflazionare i prezzi dei titoli quotati.

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