Trump spara ancora a zero sulla Fed

The Donald: "Dove ho pescato questo Powell?". In Germania a picco la produzione

Trump spara ancora a zero sulla Fed

«Incapace». «Pazzo». «Nemico più nemico della Cina». Nel corpo a corpo ingaggiato con il capo della Federal Reserve, Jerome Powell, colpevole di non muovere i tassi come fa il burattinaio con le marionette, Donald Trump ha via via abbattuto ogni diaframma formale. Con il «dove ho pescato questo qui? Certo non si può cadere sempre bene» di ieri, il tycoon è rimasto sullo stesso binario. E così sarà finchè la banca centrale Usa non avrà assecondato il suo unico desiderio. Questo: «La Fed dovrebbe tagliare i tassi di interesse. Li hanno alzati troppo presto e ridotti troppo tardi».

È l'identico messaggio che l'inquilino della Casa Bianca veicola ormai da mesi tramite Twitter, segno di un'impazienza crescente che mal si concilia con la cautela di Eccles Building. Powell, in un intervento all'Università di Zurigo, ha confermato ieri di preferire alla clava il fioretto: «È un onore servire la Fed, dove non tolleriamo alcuna interferenza politica. Non è la strada giusta da percorrere», la risposta a The Donald. Il fatto è che il successore di Janet Yellen non avverte tutta questa urgenza di alleggerire la politica monetaria: l'economia procede «al giusto ritmo» e l'istituto centrale «non prevede una recessione» anche se «agirà in modo appropriato per sostenere l'espansione economica». Parole che lasciano intendere l'intenzione di non andare oltre una riduzione dello 0,25% del costo del denaro nella riunione del 17 e 18 settembre. E un motivo c'è: Powell ha ammesso di «avere poche munizioni» per far fronte a un eventuale evento recessivo. E ciò giustifica la prudenza nel muovere al ribasso le leve dei tassi. Per quanto le ripetute inversioni della curva dei rendimenti dei T-Bond abbiamo mandato segnali di una possibile crisi in arrivo, non è infatti ancora chiaro se davvero l'America stia andando a sbattere contro l'iceberg della recessione. La prolungata partita a scacchi con la Cina sul terreno del commercio ha di sicuro portato qualche tossina nei muscoli della crescita Usa.

Certo la Germania è messa molto peggio (un -4,2% su base annua della produzione industriale in luglio significa recessione ormai inevitabile), ma l'America ha un po' il fiato corto. Sempre ieri, la Fed di New York ha rivisto al ribasso, dall'1,8 all'1,5%, l'espansione del Pil nel terzo trimestre. Inoltre, in agosto sono stati creati appena 130mila nuovi posti di lavoro creati, 25mila in meno rispetto alle previsioni. I new jobs sarebbero stati ancora meno se non fossero state assunte, temporaneamente, 25mila persone per il censimento 2020. Le aziende sembrano riluttanti ad ampliare gli organici, con solo 96mila addetti aggiunti (150mila le stime), mentre nel commercio al dettaglio accelera il prosciugamento dei posti di lavoro (-11%) a causa di Amazon.

Per valutare con più esattezza l'ammontare dei danni causati dalla trade war occorre aspettare.

Molto dipenderà dall'esito dell'incontro fra Washington e Pechino a inizio ottobre. Larry Kudlow, consigliere economico della Casa Bianca, ha detto ieri che la telefonata avuta giovedì con la controparte cinese è andata «molto bene». Ora, dalle parole bisogna però passare ai fatti.

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