Economia

Trump stanga il Sud America "Dazi su acciaio e alluminio"

Ora colpiti Brasile e Argentina. Il presidente: «Hanno svalutato la moneta». Cadono le Borse (Milano -2,3%)

Trump stanga il Sud America "Dazi su acciaio e alluminio"

Adesso i cattivi sono anche Brasile e Argentina. Colpevoli di magheggi con le rispettive monete a danno del dollaro, vengono colpiti con misure punitive. E quando di mezzo c'è Donald Trump, il mezzo di correzione è sempre la bacchetta dei dazi. Malgrado la partita a scacchi con la Cina sia ancora in corso e il suo esito sempre più incerto, il tycoon intinge la penna nel veleno e scodella un tweet che tramortisce i mercati, ormai ipersensibili a tutte le bad news provenienti dal fronte commerciale. Lì alla Casa Bianca devono aver messo in conto la reazione, altrimenti non si spiegherebbe il cinguettio malevolo nei confronti di Buenos Aires e Brasilia in cui si annuncia che «Brasile e Argentina hanno permesso una considerevole svalutazione delle rispettive valute, cosa che non va bene per i nostri agricoltori. Quindi, con effetto immediato, introdurrò nuovamente i dazi su tutto l'acciaio e l'alluminio importato negli Stati Uniti da questi Paesi».

Tanto è bastato per affondare ieri le Borse europee (Milano è scesa del 2,28%, Francoforte e Parigi del 2%), mandare in rosso Wall Street (-0,9% a un'ora dalla chiusura) e cancellare, in una manciata di ore, lo slancio che fino alla mattina era stato garantito dalla maggior espansione degli ultimi tre anni del settore manifatturiero cinese.

Resta da capire a quale gioco stia giocando l'inquilino della Casa Bianca. Se l'accenno ai contadini è propedeutico al recupero di consensi nella cintura rurale dell'America - un'area-chiave per la sua rielezione - , la mossa contro le due nazioni sudamericane può essere dettata dall'intenzione di piegare la Federal Reserve. Non a caso, Trump ha dedicato un secondo tweet proprio alla banca centrale guidata dall'ormai acerrimo nemico, Jerome Powell. «Anche la Fed dovrebbe agire in modo che i Paesi, e ce ne sono molti, non traggano più vantaggio dal nostro dollaro forte. Tassi più bassi, Fed!».

L'intensificarsi del pressing va visto in chiave temporale: il 10 e l'11 dicembre è in calendario l'ultima riunione dell'anno dell'istituto di Washington. Eccles Building non sembra aver alcuna intenzione di correggere la rotta della politica monetaria, anche se nel board pare si stia facendo strada l'ipotesi di introdurre una norma che consentirebbe all'inflazione di superare l'obiettivo del 2%. Un cambio di regole di sicuro impatto sui tassi di interesse, visto che ne favorirebbe il taglio. Ma Trump non può aspettare. Alla corsa per le presidenziali manca meno di un anno, e forte può essere la tentazione di usare i dazi per indebolire i mercati e mettere spalle al muro la Fed. È già successo. L'anno scorso, nella vigilia di Natale più nera per le Borse, l'S&P 500 perse il -2,7% e tutti i listini caddero come birilli. Qualche settimana dopo, Powell capitolò abbassando il costo del denaro, il primo dei tre allentamenti del 2019. Anche grazie ai quali, durante l'anno, Wall Street ha poi fatto faville.

Non è però detto che la storia si ripeta: ora il gioco, con la recessione nell'aria, si è fatto molto più pericoloso.

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