Unicredit, giallo sui soci arabi Si complica il «dopo-Profumo»

A pochi giorni dal varo del nuovo assetto di vertice, la trama del libro soci di Unicredit assomiglia sempre più a un romanzo giallo, con tanto di smentite, patti politici, allusioni e indagini della Consob, che è poi la «polizia» della Borsa. Mentre l’amministratore delegato Federico Ghizzoni e il presidente Dieter Rampl rafforzavano l’asse strategico con la Fondazione Crt di Fabrizio Palenzona, sotto-traccia aumentavano infatti i veleni tra gli azionisti in vista del cda che domani o al massimo venerdì sancirà l’assetto di governance del dopo Profumo. A creare scompiglio è stato il Messaggero, secondo cui agli emissari del colonnello Gheddafi sarebbe riconducibile il 12,5% di Piazza Cordusio, perché andrebbe conteggiato anche il 5% di Abu Dhabi. E l’internal audit di Unicredit starebbe completando un accertamento ad hoc in attesa di un imminente comitato per il controllo interno.
Pronta la replica della banca: Unicredit «non è a conoscenza di un collegamento» tra gli azionisti libici e il fondo Aabar, «né esso ha formato oggetto di un’indagine interna». La prosa è da legali, involuta, ma in attesa che Consob e Bankitalia terminino gli accertamenti sulla scalata libica, ieri tra gli azionisti di Unicredit serpeggiava la convinzione che il nodo fosse più «politico» che finanziario. La casella di Abu Dhabi, la cui salita al 5% era stata accolta a giugno con soddisfazione dallo stesso Rampl e dagli altri soci, rimanda infatti alla figura di Sergio Ermotti. Il banchiere attivo a livello internazionale, che aveva lavorato con gli investitori del Golfo soprattutto negli anni di Merrill Lynch ma che non ha legami preferenziali con Tripoli, è ora candidato a diventare direttore generale di Unicredit insieme con Roberto Nicastro. Quest’ultimo avrà le deleghe per retail e pmi, mentre Ermotti continuerà a supervisionare il corporate, una delle aree che più hanno contribuito a sostenere i conti della superbanca. Alla doppia direzione generale, si affiancherà Paolo Fiorentino come «chief operating officier». Una governance complessa, tratteggiata da Ghizzoni per non spaccare il quadrumvirato che ha gestito Unicredit nell’era Profumo, ma che non era la prima scelta delle Fondazioni. Gli Enti, accantonate le divisioni tra CariVerona e Crt, propendevano infatti per una direzione generale unica affidata a Nicastro e ora attendono la squadra alla prova della trimestrale. Il verdetto di Consob e Bankitalia sui libici è comunque atteso a breve: su Tripoli pende il rischio di un congelamento dei diritti di voto oltre il 5% e la stessa Unicredit sta procedendo nelle verifiche interne. Così come, dopo l’accordo con i sindacati sugli esuberi, avanzano i lavori per la Banca Unica. Ieri nella sede di Unimanagement a Torino sono stati apposti i sigilli notarili e le firme del top management: presenti al brindisi anche i 90 manager che più hanno contribuito al riassetto. Rampl, Ghizzoni e Palenzona hanno quindi fatto sosta in Crt. L’Ente, cui fa capo il 3,7% contro il 4,9% di Verona, ha ribadito il proprio sostegno al gruppo.

Da parte loro i vertici di Unicredit, «nel riconoscere alla Fondazione il ruolo di azionista stabile», si sono impegnati a un «più proficuo confronto sul ruolo della nuova banca italiana», e «per un auspicato ritorno alla redditività».

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