Ma per economisti e imprenditori non basta ancora

nostro inviato a Cernobbio (Como)

L’ok al firewall europeo non ha suscitato particolare ottimismo nella platea di imprenditori, economisti e manager che ha partecipato al Workshop Ambrosetti nella sua versione primaverile. Il 93,7% dei duecento iscritti in un sondaggio interno ha espresso sfiducia nella capacità del sistema regolatorio internazionale di evitare nuovi choc. Solo il 3,2%, cioè sei persone, ha manifestato quell’entusiasmo che i principali relatori del convegno si sono ben guardati dall’esternare.
A partire da Nouriel Roubini. L’economista francese, noto per il suo pessimismo, ha sottolineato che «se le riforme strutturali richiederanno troppo tempo» e non si vuole che ci siano uscite dall’area euro, «un euro più debole del 30% è una condizione per ripristinare la crescita in Eurolandia». La situazione, secondo l’ex consulente di Clinton, «può solo peggiorare» perchè i programmi di austerità creano sfiducia e tensioni sociali. Ma se Roubini, in fondo, pensa che un rafforzamento del ruolo della Bce potrebbe essere decisivo, proprio un ex consigliere dell’Eurotower, il tedesco Jürgen Stark, ha ribadito quel dissenso che lo fece dimettere in polemica con Draghi. «Le discussioni sull’entità del fondo lasciano il tempo che trovano - ha detto Stark - perché se la speculazione vuole, può testare la soglia di 800 miliardi così come quella dei mille». Gli speculatori, ha aggiunto, «attaccano se avvertono che un Paese è debole, ma non lo fanno se vedono che si stanno affrontando i problemi». Insomma, Stark ha invocato quella «germanizzazione» dell’Europa che limiterebbe ulteriormente la sovranità dei Paesi di Eurolandia.

Perché già oggi i governi non hanno strumenti a disposizione contro la crisi, come ha osservato l’economista Jean-Paul Fitoussi. Monti, ha detto, ha fatto quello che non potevano fare altri, ma «non abbiamo una banca centrale nazionale, non abbiamo una politica del cambio e con il fiscal compact non abbiamo più una politica fiscale».

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