Ed è subito argento (ma che rabbia)

Lo spagnolo Sanchez brucia Rebellin, che festeggia 37 anni con il secondo posto: "Volevo di più. Ma almeno ho fatto vincere il ciclismo pulito"

Ed è subito argento (ma che rabbia)

nostro inviato a Pechino

L’unica consolazione è sapere che il viso di Davide Rebellin ci avrebbe regalato quella smorfia triste e delicata anche se fosse stato d’oro il suo trionfo sotto la Muraglia. È la vita che va così, è la vita che s’accompagna a un dna scritto nel corpo e nei gesti e che scolpisce la persone. Con il viso gentile e minuto di Davide, al massimo si sorride, non si fa festa sfrenata.
L’Italia è d’argento, intasca la prima medaglia come ad Atene anche se qui si è un poco scolorita. La delegazione azzurra festeggia, ma i ragazzi ingordi e veri della bicicletta, loro no, loro volevano il metallo più pregiato a tutti i costi per ribadire che quando i cerchi sono cinque i più forti siamo noi. Tutti, da cittì Franco Ballerini a Paolo Bettini, Franco Pellizzotti, Vincenzo Nibali e Marzio Bruseghin, tutti i ragazzi della grande bici azzurra lo ripetono: «La medaglia resta importante, ma quando sai che il suo colore poteva essere d’oro, allora non ti va giù, allora ti rimane qualcosa che fa male dentro».
Il primo a farlo capire è proprio lui, Davide, il nostro argento dietro quel tamarro iberico e talentuoso di Samuel Sanchez, davanti al potente lungagnone svizzero Cancellara. Avrebbe mille ragioni per dire sono strafelice, invece ammette sincero come sempre che contava «soprattutto l’oro, l’oro che mi è sfuggito per meno di una ruota…». Più tardi, a Casa Italia, dopo aver ricevuto dai vertici della delegazione azzurra, Gianni Petrucci in testa, complimenti e buon compleanno per i trentasette scoccati proprio ieri, Davide si lascerà sfuggire ciò che gli stava sul groppo fin dal traguardo: «Io non sono un eterno piazzato, io sono anche un vincente, ricordatevelo, anche se è facile dimenticarlo visto che nella vita ho conquistato tanti tanti secondi posti… Però – e accennerà un sorriso – un secondo posto olimpico è proprio diverso».
Già, i Giochi. Il suo pensiero è subito corso a Barcellona 1992 quando, favorito fra i dilettanti, si sacrificò per il povero Fabio Casartelli. «Ho vinto anche per lui, ho pensato anche a lui» dirà arrossendo un poco in viso, e poi fiero: «Però, pensateci: Barcellona è lontana sedici anni, vuol dire che sono riuscito a mantenermi ad alto livello tutto questo tempo…». Vero. Di forma ne aveva e ne ha da regalare. Bastava vederlo azzannare le curve in salita lungo lo spettacolare circuito ricavato accanto alla Grande Muraglia, bastava osservarlo non perdere l’occasione – come invece ha fatto Bettini su Cancellara nell’ultimo chilometro – quando il lussemburghese Andy Schleck ha portato il suo attacco.
«Questa medaglia è la rivincita del ciclismo pulito, deve essere un esempio per tutti i giovani, è la prova che con il sacrificio, l’impegno e l’allenamento si può correre fino alla mia età e ottenere grandi soddisfazioni… Io sono fatto così, m’impegno, mi concedo al massimo due–tre giorni di relax all’anno, non di più. Il ciclismo è una disciplina che fa emergere tutte le qualità della persona, voglio che i giovani lo sappiano e a loro dedico la mia medaglia e spero che quanto visto sia un grande spot per questo sport… tanto più in un periodo brutto come questo».
Mentre Davide racconta, cittì Ballerini è dagli altri ragazzi per curar loro la gioia triste, soprattutto quella di Paolo Bettini, l’uomo che doveva e poteva stravincere ma che ha mancato l’appuntamento: «È una medaglia importante – dice il ct – ma è inutile negarlo: noi volevamo l’oro e visto come si era messa la situazione all’ultimo, avremmo potuto prenderlo. Se Paolo fosse stato pronto quando Cancellara è scattato: con lo svizzero, avrebbe recuperato i tre davanti e si sarebbe giocato la volata». Sottinteso, l’avrebbe vinta.

«Ma non posso criticare uno come lui, un campione che in cinque anni ci ha fatto vincere tutto». Ecco il senso. L’oro mancato non è la mezza ruota di Sanchez su Rebellin, è Bettini assente ingiustificato in quegli ultimi metri.

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