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«Elena di Troia» e di Luxuria un pasticciaccio goliardico

Pressburger dirige una versione «en travesti» della tragedia greca

da Trieste

Vorrei sapere, cari miei, dove si è cacciata ultimamente un'eroina come Elena di Troia che Euripide, una volta tanto in veste di squisito apostolo del sense of humour, ha trasformato in una sposa fedele forzatamente esule in Egitto. Mentre a Troia, a scorno delle vittime cadute sul campo, sarebbe giunto per volere di un Olimpo che contempla sarcastico la sorte degli umani un doppione della regina di Sparta fatto di vento e di sabbia. Dov’è finito l'anarchico riso di scherno del grande tragico impegnato come non mai in questo testo che fece impazzire Jarry a demolire il mito privandolo di qualsiasi mediazione divina? In un antico spettacolo di Siracusa il destino di questa anomala protagonista era magnificato dall'aulica dizione di Lydia Alfonsi mentre di recente persino un regista sensibile come Sciaccaluga non trovò di meglio che affidarne il tormento di sposa abbandonata all'italiano claudicante della francese Frédérique Lolliée. Che, pure nella sua mediocrità, assume ora l'aspetto di una perla rara paragonata a ciò che ne ha fatto Giorgio Pressburger in combutta col più famoso dei trans italiani Vladimir Luxuria. Dove, in un malinteso omaggio alla diversità della protagonista, le ancelle si mutano in aitanti ragazzoni appena diplomati dall'Accademia di Roma che, in travesti, accompagnano la lamentosa monodia di Elena. La quale inalbera il bianco accecante simbolo di purezza e, accoccolata tra seguaci dall'incerta identità anagrafica, quando non declama il suo strazio con tutte le sue esse fischianti, divora golosa un bretzel come se fossimo in Alto Adige e non sulle sponde del Nilo. Ma questo è niente finché non arriva l'indovina di palazzo a dar man forte all'angoscia dell'eroina che, ritrovato Menelao, teme di perderlo per mano di quell'egizio monarca che vorrebbe condurla all'altare. Anche l'indovina, infatti, è un signorino travestito di piume multicolori che, come una sinistra maxi-civetta, erutta parole altisonanti degne della peggior filodrammatica. Né manca la nota sanremese in un terzetto dove Luxuria gorgheggia impunita promuovendosi a soubrette sui generis.

Come poi si possa far passare un simile pasticciaccio goliardico per un fatto d'arte patrocinato da teatri pubblici e non... questo, ahinoi, è un altro paio di maniche.

ELENA - di Euripide, regia di Giorgio Pressburger, con Vladimir Luxuria. Trieste, Teatro Romano.

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