Un elettore su due non vota: ecco la vera rivolta anticasta

di È un crepaccio nel ventre del potere. Quel cinquantuno e passa per cento di elettori che ha scelto il non voto non sono più un pugno di invisibili. Non sono menefreghisti, semplici disillusi, gente che è andata al mare sfidando la pioggia. Non sono neppure qualunquisti, quelli di solito per rabbia o insofferenza ingrossano la massa di chi sbandiera l’antipolitica.
Non è una zona grigia e non serve scomodare Bartleby, lo scrivano di Melville che a ogni richiesta rispondeva con un «preferirei di no». Quel cinquantuno per cento sta inviando un messaggio chiaro a tutta la classe politica italiana. Non ci rappresentate. È un urlo di delegittimazione. Molti sono di destra. Parecchi liberali. Alcuni di sinistra. Altri guardano simboli, nomi e voci e semplicemente non si riconoscono. E c’è chi da anni ha smesso di votare in attesa di meglio. Sottovalutarli è miope. Sotto questo non voto non c’è un ripudio della politica. È qualcosa di più sottile e intelligente. C’è l’idea che la politica da troppo tempo sta rinnegando il suo ruolo. Non piace l’orgia delle alleanze tanto al chilo. Non si fidano di una classe dirigente che non sa immaginare un futuro. Non chiedono una palla di vetro, ma che almeno ci sia una strada, un progetto, non solo queste chiacchiere sulle riforme, che da oltre vent’anni sono urgenti e necessarie ma abortiscono puntualmente per il mal di pancia di una minoranza.
Qui c’è la destra che sognava di uscire dal Novecento e la sinistra che è stanca di capi e capetti prigionieri di Vendola o di Di Pietro. È il leghista che piange per la debolezza di Bossi e non si fida di Maroni. È la rivolta bianca di chi non pensa che un «vaffa» ti cambi la vita. Qui ci sono tutti quelli che considerano una fuga vigliacca affidare a un manipolo di tecnici la responsabilità politica su come si esce dalla crisi. A che serve votare se i governi li sceglie Napolitano? È quello di cui Alfano sta prendendo atto. «Questi elettori non hanno scelto e non sceglieranno la sinistra. Il loro messaggio è fortissimo: chiedono una nuova offerta politica». Solo che il tempo sta scadendo. Ne resta poco.
Non lo sa Bersani, che dice: «L’astensione? Non mi preoccupa. È nella media Ue». Certo, solo che in Italia è una novità. E forse è da orbi non accorgersi che a Palermo (39,7% votanti) e a Genova (39,08%) il redivivo Orlando e il nobile Doria sono i sindaci di una minoranza. Bersani tutto questo finge di non saperlo. E come un bambino isterico batte i piedi, ripetendo: «Abbiamo vinto. Vinto. E Grillo non ci ruberà la vittoria». No, non è Grillo il grande segnale. Non guardate solo a Parma. È tutto intorno ai palazzi che qualcosa sta cambiando. Ha ragione il cardinale Bagnasco, che ai vescovi dice: «Le astensioni, le schede bianche, le schede nulle sono un messaggio da prendere sul serio». Grillo brilla per assenza di concorrenti, ma molti italiani sospettano che sia un fuoco fatuo. La fiammella che segnala la morte e putrefazione di una classe politica, economica, culturale che non sa più rinnovarsi. È come se le élite italiane si fossero chiuse per troppo tempo all’interno di una roccaforte, con porte e finestre sbarrate. Nei sistemi che funzionano c’è uno scambio tra esterni e interni, tra chi sale e chi scende. Qui in Italia ha vinto l’immobilismo. Il risultato è che ad arrampicarsi sulle mura della cittadella sono arrivati i grillini, urlando con cappio e forconi. Ma non saranno loro i veri protagonisti. Neppure Grillo sa parlare al futuro.
Noi siamo qui, come nel romanzo di Saramago, come in Saggio sulla lucidità. Qui, in un Paese senza nome, in una città qualsiasi, durante normali elezioni amministrative, accade qualcosa di inaspettato.

Il 70 per cento degli elettori sceglie scheda bianca. È un atto senza scosse, ma che fa cadere tutto, perché la risposta dei partiti è ottusa e reazionaria. Intanto in questa terra senza nome dilaga un’epidemia di cecità. Non chiamatela (ancora) Italia.

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