Marcello Foa
Lui, il piccolo Stalin di Minsk esulta: «Sono riuscito a respingere lassalto straniero»; qualche centinaio di chilometri più a est, il Cremlino si associa alla sua gioia, salutando «libere, aperte, trasparenti». Voci surreali in un mondo che sindigna per lo scontatissimo epilogo delle presidenziali di Bielorussia. Per una volta sono tutti daccordo: lUnione europea, gli Stati Uniti, lOsce (lOrganizzazione per lo sviluppo per la cooperazione in Europa), persino la Nato. Colpiscono i toni, durissimi, delle dichiarazioni. «In un Paese in cui la libertà di espressione e di manifestazione viene così scrupolosamente repressa, unelezione non è un momento di democrazia ma una farsa», tuona Terry Davis, segretario generale del Consiglio dEuropa.
Il commissario Ue per le relazioni esterne, Benita Ferrero Waldner, annuncia la possibilità di nuove sanzioni, in particolare unulteriore stretta alla concessione di visti. Cè chi parla di possibili ritorsioni economiche «contro singole persone»; ovvero la caccia ai tesori nascosti dai gerarchi bielorussi nelle banche europee, ma in serata non giungono conferme.
LOsce rafforza la bocciatura, già espressa domenica dai suoi 500 osservatori: «Non sono stati rispettati gli standard minimi internazionali - si legge in una nota -. L'uso arbitrario del potere statale e le detenzioni di massa hanno dimostrato il disprezzo nei confronti dei diritti basilari della libertà di assemblea e di espressione». Persino il segretario generale dellAlleanza atlantica, Jaap de Hoop Scheffer, condanna il metodo «non democratico»
A 24 ore dalla chiusura dei seggi, a Minsk un solo uomo non rinuncia alla battaglia; è il capo dellopposizione Aleksandr Milinkevic. I risultati finali gli accreditano il 6% delle preferenze, contro l82,6% andato al presidente Aleksandr Lukashenko, rieletto per la terza volta, dieci punti in meno rispetto alle prime proiezioni, mentre gli altri due candidati-fantoccio si sono spartiti il rimanente 11,4%. Domenica notte Milinkevic aveva denunciato i brogli e, sostenendo che il padre-padrone di Minsk non aveva superato il 50%, aveva invocato lo svolgimento del ballottaggio. Ieri, improvviso cambio di strategia: «Non riconosciamo i risultati. Chiediamo nuove elezioni», dichiara in unaffollatissima conferenza stampa. Dopo qualche ora se ne capisce la ragione. Anche Washington «non accetta il responso delle urne», perché la campagna elettorale è stata condotta «in un clima di paura e di intimidazione», dichiara il portavoce della Casa Bianca Scott McLellan, che rilancia: «Sosteniamo la richiesta di una ripetizione del voto». Ma la replica del presidente-dittatore è immediata: «Non si tornerà alla urne».
Milinkevic è lo Yushenko della Bielorussia, ma nelle strade di Minsk in queste ore nulla ricorda la rivoluzione arancione di oltre un anno fa. A Kiev gli americani erano riusciti a sorprendere sia i russi sia il loro protetto Yanukovic, facendo pervenire a Kiev aiuti finanziari, esperti di pubbliche relazioni, materiale propagandistico. Certo, lAmerica non aveva certo la possibilità di spingere in piazza un milione di persone, ma appena il movimento di protesta popolare partì, fu pronta ad assecondarlo.
Lukasehnko ha vissuto negli ultimi mesi nellincubo che a Minsk potesse accadere qualcosa di analogo e si è cautelato; a modo suo. Arresti (con i quattro di ieri il totale è salito a 350), perquisizioni, intercettazioni telefoniche. Agli esperti Usa non è stato nemmeno concesso il visto dentrata nel Paese e lopposizione si è vista tagliata fuori dal mondo.
Domenica, a onor del vero, diecimila persone sfidando i manganelli della polizia e il gelo della notte si sono ritrovate sulla Piazza dellOttobre nella capitale per protestare contro i brogli. Un gesto eroico ma insufficiente. «Ce ne vogliono almeno dieci volte di più», ha ammesso con candore lo stesso Milinkevic. Per ieri sera era convocata unaltra manifestazione, ma in piazza sono scese poco più di 4mila persone. Non basta la simpatia del mondo a scardinare un regime che gli americani considerano «lultima dittatura dEuropa», e che il grande protettore di Luka-shenko continua a considerare intoccabile.
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