Elisa: "Il mio film preferito? Lo dirigerò io"

La cantante sogna il debutto da regista: "«Ho in mente il soggetto, sarà fantascienza. Ho già scritto la colonna sonora. Io attrice? Per carità". Intanto porta in tour la figlia Emma (sedici mesi): "Giovedì a Milano con la scaletta perfetta"

Elisa: "Il mio film preferito? Lo dirigerò io"

Neanche un film qualsia­si. Fantascienza invece, pro­prio così.Ma guarda un po’ che cosa ha in mente Elisa mentre gira per l’Italia con il tour più lungo della sua vita (giovedì da­t­a di culto agli Arcimboldi di Mi­lano). Diventerebbe regista, po­tendo. E mettendo tra parente­si, almeno per un po’, la musi­ca. Per rendere l’idea, è il terzo giro di concerti che affronta con sua figlia al seguito. E sua figlia Emma Cecile, che sfoggia già un sorriso dolcissimo, ha appe­na sedici mesi: «Ma mi dicono che gruppi di metallari tosti co­me gli Slayer fanno ancora peg­gio, portandosi dietro neonati per tutti i continenti». Insom­ma, Elisa vuole fare la regista, ra­mo fantascienza, tendenza vi­sionaria alla Michel Gondry, mi­ca sognatrice alla Walt Disney. E ha le idee chiare, ma proprio chiarissime.
Vero Elisa?
«Già. Lo vedo bene il sogget­to, ho in mente parecchie sce­ne. Sarebbe un film di fanta­scienza raccontata in modo complesso e credo profondo».
Non sarebbe proprio il suo debutto assoluto. E’ coau­trice del suo ultimo video Sometime ago (dal cd Ivy ).
«E prima avevo girato uno spot come regista per un mini­stero. L’argomento era la solitu­dine. C’ero io che suonavo al pianoforte senza suoni però. E poi tutto si liberava in una corsa frenetica in un campo di gra­no».
Bene, allora a quando il pri­mo ciak?
«Eh no. Quel tipo di film è mol­to difficile e richiede molti fondi per essere realizzato».
Non ci sono, quindi.
«Per ora no».
Però rendiamo l’idea di co­me sarebbe.
«Mah, la prima fantascienza che ho visto, da bambina, è sta­ta quella di Labyrinth di Jim Henson con il grande David Bowie. Oppure La storia infini­ta ed E. t. . Poi sono passata a co­se tipo The fountain di Darren Aronofsky e a Village con Jo­aquin Phoenix. In poche paro­le, non una fantascienza in sen­so stretto, ma un linguaggio fil­mico assai dilatato e comun­que pieno di visioni».
Ma, Elisa, snocciola defini­zioni come un critico cinematografico. Insomma, di vedere film come quelli di Checco Zalone non se ne parla proprio?
«E invece sì. Che ridere. L’ho visto e mi sono divertita. Però da quando è nata Emma, ho me­no tempo da dedicare al cine­ma, non ho neppure visto Ava­tar , tutto dire».
Quindi lei si siederebbe sul­la sedia da regista.
«Già. E non vedo l’ora».
Attrice no?
«Ma per carità».
Le sue preferite?
«Kate Winslet e Meryl Streep senza dubbio».
Mai pensato di recitare?
«Ci ha provato qualche anno fa Chiara Caselli, venendo a tro­varmi perché, diceva, sarei sta­ta ideale per il personaggio del suo film. Lì per lì ho detto no per­ché non mi sentivo all’altezza».
E poi?
«Ho accettato di fare un po’ di scuola, sa, per migliorare la pro­nuncia. Io ho questo accento ag­ghiacciante... Ma poi non non se ne è fatto nulla».
Dica la verità, le dispiace?
«Non credo di saper recitare. Ma se potessi, farei l’attrice co­mica, con una comicità di quei film all’americana dove capita­no cose pazzesche, eventi cata­strofici ma divertenti, insom­ma atmosfere esagerate e quasi surreali».
Qualcuno gliel’ha propo­sto?
«Ma le pare? Nemmeno l’om­bra di una proposta».
Vabbé dirigerà e basta. Ma scusi: e la colonna sonora?
«Beh quella sarà mia.L’ho già composta un bel po’ di tempo fa, è lì pronta in un cassetto».
In fondo lei è una musici­sta.
«Sono cantante, questo sì».
E il suo è uno dei tour più seguiti dell’anno.
«Da quando abbiamo inizia­to, ci sono stati un po’ di aggiu­stamenti in scaletta. Adesso il concerto è molto più armonio­so, per esempio abbiamo spo­sta­to Happiness is home in chiu­sura di primo tempo e va benis­simo».
Il titolo dice: la felicità è a casa. Detto da lei che è sem­pre in giro.
«Ma la casa non è un luogo fi­sico. E’ un luogo dell’anima. Si può essere a casa anche di pas­saggio in un hotel. Oppure non essere a casa quando si è tra le proprie mura. Per me la musica è così importante che mi sento a casa dovunque canti».
Lo dicevano i cantautori de­gli anni Settanta.
«Io faccio fatica a definirmi cantautrice, ma più che altro per una questione di pudore perché in realtà lo sono davve­ro. Ma da quando ho voluto se­guire passo per passo il musical Hair a quando ho concepito il progetto grafico di Lotus (che un po’ rientra anche in questo tour di Ivy ), ho sempre avuto oc­chi per l’estetica, oltre a tutto il resto della mia vita».
In più adesso c’è anche Em­ma.


«Quando nasce un figlio, per mamma e papà è una rivoluzio­ne enorme. Ma dopo un po’ ci si sveglia. E si torna a riconoscere i propri affetti con un nuovo me­tro di misura, così diverso ma molto più forte».

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