«È un equilibrio instabile. Non può durare»

da Milano

Da elemento stabilizzatore del sistema a nuovo snodo critico del nostro capitalismo, fulcro di un equilibrio instabile che nei prossimi anni non potrà che mutare ancora la mappa del potere finanziario italiano. Giandomenico Piluso, docente di Storia economica all’Università di Siena e in Bocconi e autore per Egea di «Mediobanca. Tra regole e mercato», evidenzia come la soluzione raggiunta, con un sistema di governance duale e la presidenza del consiglio di sorveglianza a Cesare Geronzi, sia tutt’altro che definitiva.
Professore, perché c’è una instabilità di fondo?
«Osserviamo innanzi tutto la governance. Il sistema duale para-tedesco è stato richiesto dal management, che con esso pensa di porre una distinzione di ruoli e di competenze fra l’azionariato e la guida operativa. Peccato che Banca d’Italia abbia già dovuto spiegare che il consiglio di sorveglianza, e in particolare il presidente Geronzi, non debba esondare dai suoi compiti. In concreto, sarà difficile pensare che un uomo di potere fattivo quale è il banchiere romano si limiti ad approvare il piano industriale e a giudicare ex post l’operato del consiglio di gestione».
In Piazzetta Cuccia, vi sono quindi forze che spingono in direzioni opposte?
«Sì. Il duale "all’italiana" costituisce una sintesi intrinsecamente contraddittoria di due tendenze diverse. Da un lato, c’è un consiglio di gestione di estrazione cucciana e maranghiana, guidato da Renato Pagliaro e da Alberto Nagel, che rappresenta una evoluzione in senso mercatista dell’ortodossia di Mediobanca, storicamente abile a destreggiarsi fra la componente pubblica e i gruppi privati con pochi capitali. Dall’altro lato, nell’ufficio che fu di Enrico Cuccia, che finora nessuno dei successori aveva pensato di occupare, si siederà forse il banchiere dotato del miglior network di relazioni politiche e partitiche. Un mondo radicalmente estraneo alla cultura e alla sensibilità di Cuccia».
Cosa può fare esplodere le contraddizioni?
«Il capitalismo italiano ha una antica abilità nell’arrocco, che dagli incroci azionari e dai patti parasociali è passata a esprimersi nel duale all’italiana, almeno nella prima versione. Sembra una legge naturale: i gruppi di controllo escogitano di continuo nuovi meccanismi di autoprotezione. Adesso, però, tre elementi minano questo equilibrio. Prima di tutto, il governatore Mario Draghi crede nelle regole del mercato. Quindi, al di là delle dichiarazioni di Unicredit sulla volontà di cedere l’ulteriore 9% di Mediobanca ottenuto con l’incorporazione di Capitalia, i reali equilibri dentro Piazzetta Cuccia fra Piazza Cordusio e Intesa Sanpaolo che, a partire dal destino della partecipazione in Generali, potrebbero presto scatenare una guerra destinata a riconfigurare gli equilibri nel nostro potere economico. Infine, c’è il mondo».
In che senso, c’è il mondo?
«Rispetto ai big player Mediobanca è piccola. E opera in un mercato, l’Italia, che è piccolo. In un settore, quello dell’investment banking, in cui le economie di scala hanno una crescente importanza.

Qualunque tensione fra piano operativo e azionariato da un lato e, dall’altro, fra diversi soci potrebbe, sui mercati internazionali, fornire un senso di debolezza tale da solleticare l’appetito di qualche grosso predatore. La soluzione straniera costituirebbe il superamento più traumatico dell’attuale sintesi post-cucciana e neogeronziana. E non è detto che sarebbe la peggiore».

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