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Erdogan: non fuggo da Ankara perché arriva Papa Ratzinger

Polemiche sul viaggio del premier a Riga per il vertice Nato. Silenzio sulla sparatoria dell’integralista islamico davanti al nostro consolato

Marcello Foa

nostro inviato ad Ankara

I turchi non si sono quasi accorti del gesto intimidatorio di Ibrahim Ak, l’integralista islamico che giovedì sera ha sparato tre colpi in aria davanti al consolato d’Italia per protestare contro la visita del Pontefice. I telegiornali hanno trascurato l’episodio, i quotidiani lo hanno relegato nelle pagine interne, dedicandogli poche righe. In fondo per un Paese abituato a fatti ben più drammatici non è successo quasi nulla. E certo così sembrava leggendo le brevi note che nascondevano quella che era la vera notizia: l’invito a uccidere Benedetto XVI. È prevalsa la volontà di non esasperare gli animi per evitare che il gesto di Ak possa essere imitato da altre persone. Perché in questa fase è proprio l’emulazione il rischio maggiore: un titolo in prima pagina può spingere all’azione chi è pronto a spargere sangue nel nome dell’Islam più retrivo. È accaduto con don Santoro, accadde con Ali Agca, anche se allora la motivazione non era religiosa.
Una stampa responsabile quella turca, che ha potuto quasi ignorare la minaccia al Papa. Non altrettanto, ovviamente, ha potuto fare l’ambasciata italiana, che ha chiesto alle autorità turche un rafforzamento delle misure di sicurezza davanti a tutte le istituzioni italiane in Turchia e non solo davanti al consolato di Istanbul. Ieri si è saputo che il 26enne Ibrahim Ak apparterrebbe al gruppo fondamentalista islamico Ibda-C, che rivendicò gli attentati contro due sinagoghe ebraiche e contro due obiettivi britannici del novembre 2003 provocando circa 70 morti. Insomma, la minaccia è seria. «L’episodio di ieri dimostra che molti turchi fanno confusione tra il nostro Paese e il Vaticano», osservano fonti della nostra rappresentanza. E dunque va garantita maggior protezione, almeno fino al primo dicembre.
Nemmeno il premier Erdogan può ignorare il Pontefice, sebbene per altri motivi; la sua assenza da Ankara quando atterrerà il Papa è motivo di polemica. In apparenza il mancato incontro è difficilmente contestabile: il 28 e 29 novembre sarà a Riga per il vertice della Nato. Ma nei giorni scorsi il quotidiano Sabah ha scritto che in Lettonia dovevano andarci il ministro degli Esteri Gul e il presidente Senzer, anche perché il summit atlantico è di routine. Il giornale turco ritiene che sia stato lo stesso primo ministro a decidere di parteciparvi proprio per evitare l’imbarazzo di incontrare il Papa, da lui duramente criticato dopo il discorso di Ratisbona.
La voce si è diffusa con sempre maggior consistenza, perlomeno sui media, finché Erdogan non ha potuto più ignorarla: «Non scappo dalla Turchia perché viene il Pontefice», ha dichiarato ieri in margine a una conferenza. «Benedetto XVI riveste due ruoli: quello di leader religioso e quello di politico. Io sono il primo ministro della Turchia e non faccio i miei programmi secondo i suoi, né posso far annullare il vertice della Nato - ha spiegato -. La mia assenza è solo una coincidenza». A ricevere Benedetto XVI sarà Senzen e Ali Bardakoglu, presidente del Direttorato per gli affari religiosi, che la stampa italiana descrive come il Gran Muftì turco, ma che in realtà è un funzionario di nomina governativa.

E il Vaticano? Continua a minimizzare: «Non è un affronto», osserva il cardinale Zenon Grocholewski, prefetto della Congregazione per l’Educazione, che però aggiunge: «La Turchia rappresenta una cultura diversa» e «il suo ingresso nella Ue è un problema complicato, che deve ancora maturare». Proprio quel che Erdogan, e in genere i turchi, non amano sentirsi dire.

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