Cristiano Gatti
nostro inviato a Sanremo
L’ultima spiaggia di Sanremo, visto che sul mare non ne esistono più, sta dentro all’Ariston. Tutto in una sera, stavolta o mai più. Al quinto tentativo, l’infilzatissimo Panariello si dibatterà disperatamente come un toro nell’arena, cercando di non stramazzare definitivamente sotto i colpi dell’audience e della critica. Eros Ramazzotti e Miss Grammy Pausini proveranno in duetto a farlo Volare, almeno una volta, anche perché poi non sono previste altre rivincite (tanto meno l’anno prossimo: come conferma il direttore Del Noce, si apre la sedicesima era Baudo). Sulle note di Modugno, cioè della canzone che in fondo ha lanciato il nostro settore export, si riprova a scommettere sulla grande musica. Ci sarà anche Bocelli. E Anastacia. E Cristina Aguilera. Prima di conoscere il vincitore della gara, praticamente un galà.
In fondo, è quello che ci vuole: un drastico ritorno ai musicisti. Come già dimostrano i duetti della penultima serata, con una bella contaminazione di stili e di voci, è il modo migliore per risollevare il morale. E anche l'umore. Perché se aspettiamo che lo risollevi il vecchio Pan, il Festival dovrebbe durare sei mesi: a forza di dai e dai, prima o poi pure lui probabilmente riuscirebbe a imbroccare un monologo da alto gradimento. Purtroppo, per questa edizione bisogna mettersi il cuore in pace. Si sperava che la grande lezione impartita l’altra sera da Pieraccioni servisse almeno a insegnare qualcosa, ma cotanta prestazione finisce inutilmente spazzata via dal vento di Riviera. Non appena il palco torna in mano a Pan, e soprattutto ai testi dei suoi terrificanti autori (sempre nove: e chi li smuove), si riprecipita nell’imbarazzo. Stavolta si va dall’ironia su Povia (quello dei piccioni) che canta in piazza Colombo, alla satira da 2 novembre sui cinesi. Nell’ordine: «Esportiamo il Festival là: faremo il Festival dei fiori di loto», «Sono tantissimi: basta che mi guardi un condominio e faccio audience», «Clonano tutto, anche i politici: guardate Cofferati, e anche Berlusconi, a forza di tirare gli occhi...», per chiudere con la trionfale proclamazione di ipotetici vincitori: «Terza: maledetto involtino primavera», «Seconda: Maramao Tze Tung perché sei morto», «Prima: Pechino di Capri, shangai per brindare a un incontro».
Ora: è pur vero che le battute vanno seguite durante la recitazione, perché altrimenti perdono efficacia. Ma in questo caso funziona al contrario: seguirle in diretta è molto, ma molto più raccapricciante della semplice lettura. Una cosa da mandare subito a letto i bambini. Forse trasmettere questo Festival in Cina è davvero l’ultima possibilità: almeno lì non capiscono, c’è pure caso che ridano.
Inutile però insistere sul tema: Panariello non gliela fa proprio. D’accordo che è arrivato qui dicendo di non voler fare il comico, ma non appena ci ha provato ha fatto più danni della grandine. Meglio, molto meglio, cioè dignitosa la sua semplicissima conduzione: siccome è un semplice, siccome è un simpatico naturale, da padrone di casa è amabile. Molto umano, molto onesto, senza la minima caduta nella bassa speculazione emotiva, risulta quando lancia il doloroso appello ai rapitori del piccolo Tommaso, perché nella loro crudeltà trovino almeno un barlume di pietà per dargli le medicine.
Il resto è ottima musica e ospiti in dosi omeopatiche: l’attore Orlando Bloom, direttamente dal Signore dagli anelli, e il monumento Arnoldo Foà. Meglio soprassedere sui contributi di Victoria Scaramacai Cabello: il suo voto veleggia verso l’epilogo stabilmente sul due.
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