Senatore Cesare Cursi, presidente della commissione Industria di Palazzo Madama, a Roma si parla di ripristino della tassa di soggiorno. Crede che sia una misura sostenibile?
«Questa ipotesi mi sembra più ventilata a mezzo stampa che dagli amministratori locali. Non posso che concordare con il sindaco Alemanno, che ha smentito questa eventualità. Tra laltro, rispetto alla crisi finanziaria che Roma ha ereditato dalla gestione Veltroni, una misura del genere porterebbe risorse risibili rispetto ai grandi numeri del debito romano e avrebbe un effetto moltiplicatore di immagine negativa che Roma certo non merita».
Roma, però, ha avuto grandi numeri dal turismo. Il modello Roma, in questo, ha funzionato?
«Se dobbiamo valutare il modello Roma dai numeri del debito che solo grazie alla due diligence chiesta dal sindaco Alemanno stanno in questi giorni emergendo, lottimismo non trova certo spazio. Roma è la principale meta turistica italiana e il turismo è uno dei principali asset economici del suo territorio; tra i primi 30 siti museali e archeologici visitati in Italia, Roma ne annovera 6. Arriviamo a 7 se aggiungiamo Villa dEste a Tivoli. Il Comune di Roma accoglie il 75 per cento tra i turisti italiani e il 90 per cento tra quelli stranieri dei 9,74 milioni di persone che nel 2006 hanno visitato il territorio provinciale».
Cifre che dovrebbero costituire una garanzia...
«Sembrano, certamente, dati incoraggianti. Però, se poi vediamo che il pernottamento medio a Venezia è di 4,5 notti e a Roma di 2,8 vuol dire che qualcosa, in termini di organizzazione dellofferta turistica romana, non ha funzionato. Quello a cui può aspirare Roma e su cui la nuova amministrazione di centrodestra non mancherà certo di misurarsi è lobiettivo del prolungamento della durata del soggiorno, recuperando da questo risorse aggiuntive per leconomia della città».
A parte i risparmi che si renderanno necessari per raddrizzare i conti capitolini, quanto servono al turismo romano eventi come la notte bianca, lEstate romana e la Festa del Cinema?
«Il marketing territoriale realizzato attraverso eventi di richiamo è una delle leve di sviluppo del turismo locale. Questa, però, è unaffermazione di principio che vale a Roma come a Venezia o a Sorrento. Nello specifico romano, credo che si debba passare dalla filosofia dellevento-immagine a quella dellevento-produttivo, che miri a promuovere il territorio e il maggior numero possibile delle sue filiere produttive».
Che cosa intende nel dettaglio?
«Per farle un esempio, si è parlato molto della notte bianca come grande kermesse e vetrina della città. Certo, abbiamo visto molta gente in giro fino al mattino. E Zetema, la società del Comune deputata a gestire levento, ha affidato lavori a imprese e associazioni varie. Non mi sembra, però, che la filiera dellospitalità romana, ristoratori o albergatori, o la filiera del commercio, ne siano state particolarmente beneficiate. Anche in questo sono sicuro che il sindaco Alemanno e la sua giunta, insieme alle organizzazioni imprenditoriali, sapranno trovare la giusta chiave di lettura innovativa per valorizzare Roma e le sue risorse».
Allargando lorizzonte da Roma allItalia, come vede il futuro del turismo?
«LItalia gode di una rendita di posizione unica al mondo. Il nostro Paese attrae per sua natura milioni di visitatori lanno. Anche questo patrimonio che abbiamo ricevuto in dote, però, può rendere di più o di meno a secondo di come noi lo gestiamo. Dobbiamo porci, quindi, il problema del recupero di competitività della nostra filiera turistica visto che, peraltro, il World Economic Forum ci colloca in questa classifica solo al 28° posto della graduatoria mondiale. Per essere il Paese con il maggiore patrimonio culturale al mondo, non mi sembra un gran risultato».
Che cosa si dovrebbe fare per migliorare?
«Il turismo è materia delegata alle Regioni. Lo Stato, però, sia nella sua azione di governo che in quella legislativa può incidere su alcune decisioni strategiche di fondo. Penso, per esempio, allopportunità di uniformare laliquota Iva con quella dei nostri competitor europei. Se noi applichiamo il 10 per cento, la Spagna il 7 per cento e la Francia il 5,5 per cento, è chiaro che ci precostituiamo delle condizioni di svantaggio che ci pongono in un deficit competitivo.
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