di Luciano Gulli
«Chavez è morto. Viva Chavez!». Ahi que dolor, in giro per il mondo, per la scomparsa del caudillo venezuelano. Che commozione, e che messe cantate, per il caro leader, fra le anime belle che pretendono di avere la curatela in esclusiva del popolo minuto: quello negletto dai potenti che a Caracas, come a Teheran, vengono ancora effigiati in redingote, col sigaro e il cilindro, perché si capisca all'impronta di chi si parla.
Piangono Chavez i leader dei Paesi che una volta si chiamavano «non allineati», a partire dal più affezionato compagno di merende, il presidente iraniano Ahmadinejad. Lo piangono in Africa e in Oriente; moltitudini di orfani spuntano in Europa e nelle Americhe; sicché per compendiare il cordoglio universale ecco scendere in pista il segretario generale delle Nazioni Unite, quel Ban Ki Moon di cui ultimamente si erano un po' perse le tracce. Ah se è «rattristato», il signor Ban, da cotanta perdita. Così rattristato da diramare una nota ufficiale di «sentite condoglianze alla famiglia, al popolo e al governo del Venezuela». Giacché Chavez, chi non lo sa?, si è battuto «per le sfide e le aspirazioni dei venezuelani più vulnerabili», eccetera, «mostrando solidarietà verso le altre nazioni del mondo».
Per trovare note dissonanti bisogna porgere orecchio a quelle vaste moltitudini di venezuelani così incapaci di godersi il «paradiso» messo in piedi dal dittatore da filarsela al di là dei confini nazionali, preferendo la casacca dell'emigrante a quella del «suddito». Ma è un contrappunto appena udibile, quello dei canti di gioia, e della musica, e delle migliaia di birre stappate in mezzo allo strepito di fanfare e ottoni che si alza fino al cielo.
Piange e rammemora il Caro Leader l'intellighentia delle red star americane: attori e registi e cantanti che se c'è da tirar fuori la chitarra o rilasciare una dichiarazione, e intanto rimediare una comparsata in tv a favore dei «veri democratici», non si fanno pregare due volte. Piange il regista Oliver Stone, si strappa le vesti il regista Michael Moore, si graffiano le gote (per modo di dire, certo) attori come Sean Penn e le centinaia di mezze calzette della scena hollywoodiana che sfangano la mesata a colpi di migliaia di dollari in quel gigantesco mercato parallelo (parallelo al cinema) della fiction televisiva. «Piango un grande eroe per la maggior parte del suo popolo... Odiato dalle classi abbienti, Hugo Chavez vivrà sempre nella storia», scrive in una nota Oliver Stone. «Amico mio, riposa in pace, una pace meritata da molto tempo», si commuove ancora il regista americano che lo intervistò nel 2009 insieme con altri leader sudamericani come Rafael Correa, Lula e Cristina Kirchner. «I poveri del mondo perdono un loro campione, io perdo un amico che ho avuto la benedizione di conoscere», afferma Sean Penn, che evidentemente non si riconosce in quegli «yankee de mierda» ai quali si riferiva il caudillo quando doveva dire «gli americani».
Più contrastato il panorama del web. C'è chi piange la figura carismatica e chi si congratula per la dipartita del tiranno. Fra questi ultimi, naturalmente, ci sono i venezuelani emigrati negli States, la più gran parte dei quali sta in Florida. A Miami, a Orlando, è stata festa tutta la notte. «Libertà, giustizia, riconciliazione», sono state le parole d'ordine più gettonate dai fuorusciti. Ma di costoro, nei titoli dei giornali, non c'è traccia.
Riposa in pace amico mio,
una pace che
hai ben meritato
Che grande onore
incontrarlo
alla Mostra del
cinema di Venezia
Si è battuto per
le aspirazioni
dei venezuelani
più deboli
I poveri del mondo perdono
un loro
campione
Chavez è morto da martire, ucciso da una
malattia sospetta
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