Una delle cause principali della nuova caduta della popolarità di Obama è l'insoddisfazione per la sua politica estera, di solito considerata abbastanza irrilevante per le scelte degli elettori: alla domanda se approvano la sua gestione della crisi ucraina, solo un terzo ha risposto di sì. Tra la sorpresa generale, un Paese che veniva descritto come stanco di guerre e tentato da una nuova forma di isolazionismo giudica insufficiente l'adozione di sanzioni contro una serie di personaggi e di aziende russe e avrebbe preferito che Washington rifornisse l'esercito ucraino di armi che lo aiutassero a riprendere il controllo delle province orientali. Ma la realtà è più complessa.
L'Ucraina è solo una occasione per manifestare una più generale insoddisfazione - alimentata dalle critiche della opposizione repubblicana - per la graduale erosione della leadership americana nel mondo durante i sei anni della presidenza Obama: mancato intervento in Siria, peggioramento dei rapporti sia con il mondo arabo sia con Israele, inconsistenza della politica di contenimento della Cina e - soprattutto - una politica velleitaria che tradisce una debolezza di fondo. Forse preavvertito dei sondaggi, proprio la vigilia Obama ha difeso vigorosamente il suo approccio alle crisi: difendere gli interessi americani evitando che esse degenerino: «Come mai -ha chiesto- tanti vogliono usare la forza militare quando siamo appena usciti da un decennio di costosissime guerre?».
E il suo consigliere Benjamin Rhodes ha aggiunto: «Se avessimo preso tutte le iniziative che i nostri critici pretendono, avremmo perso il conto dei conflitti in cui l'America sarebbe impegnata».
Dalle loro parole, sembra evidente che - sondaggi o no - Washington non cambierà linea, non da ultimo per la ragione che, avendo deciso di ridurre le spese militari al livello precedente la seconda guerra mondiale, la sua capacità di intervento si sta gradualmente riducendo.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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