La Corea laboratorio del capitalismo: ricca, libera e "rosa"

La democrazia vale 26mila dollari: è il divario di reddito pro capite con la "sorella" comunista. E a Seul da ieri governa una donna

La Corea laboratorio del capitalismo: ricca, libera e "rosa"

Park Geun-hyè è diventata il simbolo di un paese dal destino opposto e contrario. Le due facce della Corea. Al nord la dittatura comunista, a sud il laboratorio del capitalismo. Al nord la commemorazione di Kim Jong-il, il «caro leader» e il lancio di un missile per festeggiare. Al sud gli elettori regalano la vittoria a una donna, Park Geun-hyè. Sarà lei, sessant'anni compiuti, conservatrice figlia di un dittatore, a guidare la Corea del Sud, la dodicesima potenza mondiale, la quarta economia dell'Asia dopo Cina, Giappone e India, da dieci anni stabilmente in crescita. Nonostante la crisi infatti, la tigre ha solamente rallentato la propria corsa; di fatto il laboratorio procede alla grande, culla dell'elettronica, dell'auto e dell'hi-tech (Hyundai, Samsung e LG ad esempio), si è trasformato nel laboratorio del Green New Deal.

Oggi, con il 51,5 per cento delle preferenze, il Paese ha eletto Park, la prima presidente donna al potere.
Geun-hyè aspettava da tanto di salire al comando. Figlia del dittatore Park Chung-hee che dopo il golpe militare nel 1961 guidò il Paese fino al 1979, portandolo allo sviluppo economico, ha dovuto imparare in fretta a sopravvivere tra i politici. Nel 1974 sua mamma venne assassinata durante un attentato e lei, unica figlia, era toccato fare la first lady; fino al 1979 quando ad essere ucciso fu il padre, ucciso nel palazzo della Repubblica dai suoi stessi servizi segreti. Geun-hye, la «regina di ghiaccio», come la chiamano i coreani per il suo atteggiamento freddo e distante, oggi si riprende il posto di comando. Il suo rivale Moon Jae-In, candidato del Partito democratico, prima forza d'opposizione, ha riconosciuto la sconfitta. La sfida di Park inizia da qui, la sessantenne, non sposata e senza figli, con un passato ingombrante, diventa il presidente di un Paese dove otto parlamentari su dieci sono donne, e dove gli uomini occupano la grandissima maggioranza delle cariche dirigenti nelle istituzioni e nelle imprese. Aveva già corso per le primarie alla Presidenza nel 2007, ma il suo partito della Nuova Frontiera le preferì Lee Myung-Bak, che venne poi eletto. Questa volta la sua campagna elettorale è stata dura e senza esclusione di colpi, compresa una sonora cucchiaiata in faccia presa da un dimostrante, che le ferì il volto. É stata astuta Park, ha probabilmente messo a frutto le regole del confucianesimo di cui lei è una grande devota, ha mostrato carattere, distanziandosi più di una volta dalla politica del presidente Lee Myung-bak e dal suo stesso partito, Nuova Frontiera. In campagna elettorale ha saputo poi conquistarsi la folla chiedendo perdono per le violazioni dei diritti umani commesse durante la dittatura del padre e ha promesso una distribuzione più equa della ricchezza. E al nord invece?

Come uno specchio che restituisce una figura deformata, così, la Corea del Nord appare sempre più desolata, imbalsamata, isolata. Se al sud è stata eletta una donna, al nord, è stato incoronato l'erede-bamboccio, Kim Jong-un, figlio del defunto «caro leader». Qui, dove sopravvive il più duro regime comunista, il Partito ordina e la gente corre: le donne in divisa con il fazzoletto rosso al collo e gli uomini inquadrati in battaglioni: come il 17 dicembre, quando la Corea del Nord tutta si è fermata per commemorare il «caro leader» morto un anno fa a 70 anni.

Un rapporto dell'ONU descrive la Corea del Nord come «una grande prigione», dove una popolazione ridotta alla fame è

prigioniera della paura. Nel 2010 il Paese non è stato in grado di soddisfare il fabbisogno alimentare della sua popolazione. E così, dietro alla cortina di ferro resta solo tanta fame. Di libertà, ma soprattutto di pane.

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